Reggio Calabria, duro colpo al clan Bellocco: arrestate 45 persone, 5 percepivano il reddito di cittadinanza

Reggio Calabria, duro colpo al clan Bellocco: arrestate 45 persone, 5 percepivano il reddito di cittadinanza

di Mario Meliadò
Avevano partenariati del male coi Morabito di Africo e i Gallace di Anzio, ma anche coi “cuginetti” rosarnesi Pesce: è così che la potente ‘ndrina Bellocco dominava Rosarno e buona parte della Piana di Gioia Tauro. Ma oggi 45 persone sono state arrestate (di queste, 9 sono ai domiciliari) e al clan della Tirrenica reggina è stato inferto un colpo micidiale.

Dal porto olandese di Rotterdam a quello francese di Le Havre, come già testimoniato dalla precedente inchiesta “Rio De Janeiro”, non c’era anfratto d’Europa in cui i Bellocco non avessero pregnanti appoggi criminosi. Secondo il procuratore distrettuale di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, l’operazione della Guardia di finanza reggina e dei finanzieri dello Scico (il Servizio centrale Investigazioni criminalità organizzata delle Fiamme gialle) denominata “Magma” dimostra «l’operatività di una cosca che ha radici in Calabria, sì, ma poi ha proiezioni operative in Lazio, Toscana e Lombardia, benché le più importanti decisioni e le pianificazioni delle attività illecite avvenissero sempre e comunque a Rosarno, con viaggi continui in Calabria dalle regioni del CentroNord. Ma i Bellocco erano attivissimi anche in vari altri Paesi d’Europa e in America Latina – ha rilevato Bombardieri –, dall’Argentina al Costarica, e pur avendo il proprio core business nel narcotraffico di certo non disdegnavano altri settori: per esempio i rifiuti. In un’intercettazione, uno degli arrestati cercava di coinvolgere qualche imprenditore del Nord in una gara “pilotata” in materia di rifiuti al Comune di Rosarno, proprio nella consapevolezza che le cosche del territorio erano già fin troppo ‘monitorate’. Ma serviva giusto un nome, solo il nome di un’impresa settentrionale, poi la ‘ndrangheta locale avrebbe provveduto a tutto il resto: rapporti con la Pubblica amministrazione, ‘agganci’ con il territorio… l’impresa interessata non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente».



A coordinare le indagini – condotte dal Goa, il Gruppo investigativo criminalità organizzata del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Reggio Calabria –, insieme al procuratore distrettuale, l’aggiunto Gaetano Paci e il pm della Dda reggina Francesco Ponzetta: molto interessanti gli sviluppi, che hanno messo a nudo i legami tra la ‘ndrina medmea, diversi white collars argentini e intermediari uruguaiani, in grado di spostare ingentissimi quantitativi di coca così come di far pervenire ben 50mila euro a Rocco Morabito in Uruguay, per tentare di far scarcerare “Tamunga”, com’è soprannominato, che però in realtà poco tempo dopo sarebbe evaso.
Paradossalmente – ma neanche tanto –, cinque degli arrestati percepivano il reddito di cittadinanza.

E se sono stati complessivamente posti sotto sequestro, in occasione del blitz antimafia, circa 4 quintali di cocaina, 30 kg d’hashish, 15 di marijuana e varie armi (un fucile d’assalto automatico, tre pistole semiautomatiche, un silenziatore, numerose munizioni), guanti e passamontagna: l’arsenale era stato spedito dalla Calabria dentro un pacco anonimo trasportato su bus di linea grazie alla connivenza del conducente. «Ho fatto tardi perché sono dovuto andare a Roma a prendere le armi – si sente nitidamente in una delle tante conversazioni captate dagli investigatori –, le ho mandate col pullman con un altro compagno».
 


Le armi, però, servivano come il pane: in varie occasioni, infatti, per finanziarsi, l’articolazione capitolina sodalizio criminoso si concedeva rapine agli uffici delle Poste in provincia di Roma. «Occultamento ed esfiltrazione della cocaina – evidenzia il generale Alessandro Barbera, già comandante delle Fiamme gialle a Reggio Calabria e oggi comandante dello Scico – hanno rappresentato una tecnica non introdotta, ma certo assai raffinata da questo clan, i cui sgherri, invece che nascondere la ‘polvere bianca’ tra le merci dei container in arrivo al porto di Gioia Tauro, gettavano in mare borsoni con dei galleggianti muniti di gps che ne avrebbero poi consentito il recupero tramite barchini con su uomini collegati alla ‘ndrina Bellocco. Ma i finanzieri hanno sventato questo piano».








 
Ultimo aggiornamento: Venerdì 29 Novembre 2019, 23:21
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