Rebecca Braglia morta dopo il placcaggio, donagli gli organi della 18enne

Rebecca, donati gli organi della 18enne rugbysta morta dopo un placcaggio

di Paolo Ricci Bitti
Rebecca, con la sua gioia di correre con una palla da rugby tra le mani, continua a vivere in altre persone: nella notte all'Ospedale Bufalini di Cesena i chirurghi non sono mai usciti dalla camera operatoria. I genitori della rugbysta di 18 anni di Reggio Emilia morta dopo un placcaggio hanno datto il consenso all'espianto degli organi e così in tutt'Italia chi soffriva da tempo aggrappato alla speranza di trovare un donatore ha ricevuto la chiamata tanto attesa.

Il padre: «Ora gioca nel campionato dei cieli»



«Lei avrebbe voluto così» ha detto il padre Giuliano che aveva accompagnato Rebecca a 6 anni al campo da rugby di reggio Emilia così come fatto anni prima con il figlio maggiore, Federico. Lo stesso papà che su Facebook ha invitato a continuare a giocare a rugby per ricordare Rebecca «che ora gioca nel Campionato dei Cieli».
 
 


«Non ci sono responsabilità» ha detto ancora. Non ci saranno denunce, non c'è alcun sentimento di risentimento: tutto quello che poteva essere fatto per salvare la ragazza è stato fatto e solo una fatalità l'ha portata via. Non si può nemmeno parlare di un incidente di gioco, hanno ricordato allenatori e medici. Rebecca, che giocava con l'Amatori Parma, dopo aver tentato di placcare un'avversaria durante una partita di Coppa Italia di rugby a 7 a Ravenna è caduta all'indietro battendo la nuca sul terreno. Contrasti così sono comuni in uno sport di contatto come il rugby. La ragazza si è rialzata, ha giocato per un altro minuto senza sembrare frastornata e solo allora si è accasciata. Fin dall'inizio si è capito che non c'erano speranze: per cause che forse nemmeno l'autopsia potrà chiarare, si è creato un edema cerebrale diffuso che non ha lasciato scampo. Una fatalità, una circostanza rara, non legata all'entità dell'urto della testa con il prato. Rebecca, studentessa del Liceo Spallanzani di Reggio Emilia, è la prima rugbysta italiana che muore dopo un'azione di gioco. Gli altri casi nel mondo, anche nel rugby maschile, si contano sulle dita di una mano.

Così la famiglia di Rebecca, dopo aver donato la vita a tante altre persone, la ricorderà insieme alla famiglia del rugby, unita da una sport che crea amicizie senza fine: non importa a quale livello lo si pratichi e in quale parte del mondo. Nel prossimo finesettimana su tutti campi, ha annunciato il presidente Alfredo Gavazzi della Federugby, si resterà in silenzio per un minuto mentre in questi giorni Maria Cristina Tonna, pioniera del rugby femminile italiano, lavora senza sosta insieme ad allenatori e dirigenti per sostenere le compagne di squadra di Rebecca e anche le avversarie di Ravenna e Imola. Sono giorni duri anche per la ragazza imolese che Rebecca non è riuscita a placcare: non ha fatto nulla di irregolare, ma poi non è facile sopportare la vista dell'avversaria che poco dopo non alza più da terra. "Avversaria" poi, è un termine che nel rugby vale, e senza sconti, solo durante il match: dopo ogni partita si fa festa insieme.       
Ultimo aggiornamento: Giovedì 3 Maggio 2018, 12:12
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