Latina, quando i bulli rom dettavano legge anche a scuola
di Bianca Francavilla
Le vittime erano i ragazzi che andavano al liceo, che venivano avvicinati fuori da scuola, a ricreazione, dentro l'ascensore per andare ad una festa o nella centralissima piazza della Libertà. Guai a dire di no, altrimenti erano botte. E guai a tirarla per le lunghe, altrimenti era tutto il gruppo a prenderti di mira. C'è chi raccontava di aver dato giacca, jeans, scarpe ed essere scappato in mutande. C'è chi non è più andato a scuola per mesi per riprendersi psicologicamente da quanto successo. Le ragazze del tempo, invece, si incastravano nel giro per colpa di questioni di cuore. A sedici anni era un attimo innamorarsi di quello che sembrava un bullo, e poi ti portava dentro la casa con i troni e i mobili dorati a provare l'abito da sposa per entrare a far parte della dinastia.
Quelle fortunate si vantavano con le amiche, raccontando che il loro fidanzato rom le amava davvero perché le teneva lontane dalla droga, pur spacciando. Quelle sfortunate finivano a vendere cocaina in un attimo ai giardinetti, in piazza, davanti scuola, alla luce del sole. Se all'inizio poteva sembrare “divertente” uscire di nascosto dalle mamme con il ragazzo sbagliato, i guai iniziavano se una di loro voleva chiudere la storia. Allora i Di Silvio arrivavano in quattro-cinque in classe e pretendevano che la professoressa facesse uscire la studentessa: «Oh, pressoré, si faccia una camomilla eh. È sicura che non vuole far uscire la ragazza?» dicevano. Estorsioni, droga, botte e terrore. Gli stessi reati con i quali ora 25 esponenti sono finiti in carcere nell'operazione Alba Pontina e per i quali, come ai tempi di Don't Touch, Latina ringrazia. Proprio perché lo sapeva già.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 14 Giugno 2018, 11:30
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