Dalla parte degli oppressi, di chi è riuscito a fuggire dalla propria terra schiacciata o tormentata da un’occupazione o da una guerra improvvise, arrivate da lontano, per interessi estranei, dalla parte di chi ha cercato di riguadagnare libertà e dignità in un altrove sconosciuto, e dunque a fianco dei migranti, dei nomadi, dei rifugiati.
L’opera di Abdulrazak Gurnah, insignito ieri con il Nobel per la Letteratura dall’Accademia svedese, è tutta intrecciata dalle storie di popoli che si sono visti negare, a volte nel giro di un giorno, diritti fondamentali, e che, dopo essere stati colonizzati, hanno conosciuto tirannia e schiavitù, moltitudini il cui unico modo per spezzare queste catene è stato un peregrinare doloroso, gente che si è spesso trovata il muro del rifiuto alla più naturale delle richieste, quella del soccorso a chi non ha più tetto né legge che lo proteggano. Forse va letta in questa chiave “politica” la decisione di Stoccolma che ha trovato stupito perfino il vincitore, nato nel 1948 in Tanzania, o più precisamente nell’isola che vi si specchia, Zanzibar, crocevia di etnie e culture, arrivato in Inghilterra, alla fine dei ’60, da esule, e rimasto lì, i primi anni, da rifugiato, proprio come sarebbero stati i suoi personaggi.
«Ho pensato che fosse uno scherzo – ha detto Gurnah – è stata una tale sorpresa che ho aspettato l’annuncio ufficiale prima di poterci credere».
Quinto autore africano a vincere il Nobel per la Letteratura (l’ultimo era stato nel 2003 il ben più noto Coetzee), Gurnah è stato pubblicato in Italia da Garzanti: Sulla riva del mare (2002), Il disertore (2006), Paradiso (2007) i tre titoli finora usciti e che, ristampati, assicura la storica casa editrice milanese, torneranno a giorni in libreria.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 8 Ottobre 2021, 06:00
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