Pausa caffè? Se il lavoratore si fa male nessun, nessun risarcimento

La Corte dopo l'infortunio al bar di un'impiegata

Pausa caffè? Se il lavoratore si fa male nessun, nessun risarcimento

di Giammarco Oberto

La pausa caffè in orario di ufficio è un rito che non si rifiuta a nessuno. Ma se gli capita di farsi male proprio in quel momento, mentre va al bar a farsi una tazzina al volo, il lavoratore si rassegni: non ha diritto all'indennizzo per malattia né a un riconoscimento di invalidità.

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Lo ha stabilito la Cassazione, che ha accolto il ricorso dell'Inail contro l'indennizzo e l'invalidità del 10% in favore di una impiegata della Procura di Firenze che si era rotta il polso destro cadendo per strada mentre, con l'autorizzazione del suo capo, era uscita per prendersi un caffè. Gli ermellini hanno sposato la tesi dell'Istituto nazionale per l'assicurazione degli infortuni sul lavoro, difeso dalle avvocatesse Luciana Romeo e Letizia Crippa: la tazzina non rientra tra le esigenze impellenti e legate al lavoro, ma è una libera scelta.


A fare per prima le spese della stretta della Suprema Corte alla consuetudine del coffee-break, è stata Rosanna B., un'impiegata che per di più si occupa proprio di giustizia.

Nel luglio 2010 era uscita dalla procura di Firenze, che non ha un bar interno, per prendere un caffè nel bar di fronte. Era caduta e si era rotta il polso. In primo e in secondo grado aveva ottenuto dal Tribunale e dalla Corte di Appello di Firenze il riconoscimento di infortunio sul lavoro, e quindi il diritto all'indennità di malattia assoluta temporanea e l'indennizzo per danno permanente del 10% per l'incidente nel tragitto verso il bar. Ora, 11 anni dopo la rovinosa caduta, ha perso il diritto agli indennizzi ed è stata condannata a pagare 5300 euro di spese legali.


Per i supremi giudici, non ha diritto alla tutela assicurativa dell'Inail chi affronta un rischio «scaturito da una scelta arbitraria» e «per soddisfare esigenze personali, crei e affronti volutamente una situazione diversa da quella inerente l'attività lavorativa». Rosanna B., scegliendo di andare al bar, «si è volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all'attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente».


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 10 Novembre 2021, 07:27
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