Pamela Mastropietro, Oseghale: «Non l'ho uccisa, pregiudizi perché sono nero». La mamma della vittima: «Faccia i nomi»

Il nigeriano condannato si difende: "Sono addolorato ma non posso pagare colpa non mia"

Pamela Mastropietro, Oseghale: «Non l'ho uccisa, pregiudizi perché sono nero». La mamma della vittima: «Faccia i nomi»

di Redazione Web

Parla dal carcere di Forlì Innocent Oseghale, il nigeriano 35enne condannato all'ergastolo per aver violentato, ucciso e fatto a pezzi Pamela Mastropietro, la 18enne romana il cui cadavere fu ritrovato in due trolley a Macerata la sera del 30 gennaio 2018. «Non ho ucciso la povera Pamela e nemmeno l'ho violentata. Purtroppo le ricostruzioni fatte durante il processo non hanno tenuto conto delle tante prove a mia discolpa e in parte sono sicuro di pagare questa situazione per pregiudizi personali su di me legati al fatto che io sia un immigrato di colore», le sue parole all'Adnkronos. 

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Oseghale: «Non l'ho stuprata né uccisa»

«Penso spessissimo a Pamela - dice - a quanto è successo, sono dispiaciuto e addolorato, ma non posso pagare una colpa non mia. Non ho violentato Pamela, abbiamo avuto rapporti sessuali con il consenso di entrambi prima di andare a casa mia e una volta a casa». Oseghale ricostruisce nei dettagli quelli che, secondo la sua versione, sono gli attimi prima della morte della ragazza. «Dopo aver fatto la spesa al supermarket mi sono messo a preparare la colazione mentre ascoltavamo un pò di musica. Pamela ha consumato una sostanza che non avevo mai visto consumare prima a nessuno e di cui quindi non conoscevo gli effetti. Si è sentita male ed è caduta a terra tutto ad un tratto. Ho sottovalutato il suo malore - continua - Ho chiamato un amico che mi ha suggerito di darle dell'acqua. L'ho messa a riposare al letto e sono uscito. Al mio ritorno Pamela non c'era più».

«Per me è stato uno choc al rientro - racconta Oseghale - Mi ha assalito la paura di perdere la mia compagna, già in comunità con la mia primogenita e incinta del mio secondo figlio, che purtroppo non ho nemmeno potuto vedere nascere. Ho avuto paura di perdere tutto quello che avevo sognato nella mia vita, avere una famiglia. Ho avuto paura che nessuno mi avrebbe creduto, a me, un ragazzo di colore con in casa il cadavere di una ragazza di 18 anni. Nella mia testa io ero già colpevole, non ho capito più niente e ho fatto quello che è già noto a tutti. Dovevo cercare di salvarmi. Ho pensato a come uscire da quella casa, a salvare la mia famiglia. Ed è stato così che ho commesso lo sbaglio più grande della mia vita, non chiamando subito l'ambulanza e la polizia. Ho avuto paura e chiedo scusa. È il mio rimorso che porterò sempre dentro di me».

I momenti di tensione con la madre di Pamela

In aula a gennaio scorso, dove si svolgeva il processo bis che lo ha visto imputato per violenza sessuale, ci sono stati alcuni momenti di tensione con la madre di Pamela Mastropietro. «Chiedo perdono alla mamma di Pamela - dice Innocent Oseghale in una lettera scritta all'Adnkronos dal carcere di Forlì dove è attualmente detenuto - Il mio sfogo non era rivolto a lei ma a quanti mi hanno provocato e insultato durante l'udienza. Ho sbagliato a reagire in quel modo e chiedo scusa. Con la mamma di Pamela sto condividendo lo stesso dolore, perché anche io ho perso i miei figli, non so dove siano, se sanno di me, del grave errore che ho commesso, se mai un giorno potrò rivederli. Spero solo di poter tornare a fare il padre, un giorno, di poter spiegare ai miei figli cosa è veramente successo, anche perché il mio secondo figlio è nato quando ero già in carcere e la mia famiglia sta pagando a caro prezzo i miei errori».

«Tra le quattro mura della mia cella non passa giorno in cui non penso a Pamela - aggiunge - Il dispiacere per quello che è successo è enorme. Ho agito senza ragionare, pensavo solo che mai mi avrebbero creduto. Ho fatto tutto in preda a uno stato confusionale. Non l'ho stuprata, non l'ho uccisa. Al contrario ammetto ogni mia colpevolezza nel mancato soccorso e nel vilipendio del cadavere con la crudeltà che non nego e di cui chiedo scusa. Sono pentito. Pentito di non averla soccorsa, di non aver chiamato l'ambulanza appena Pamela si è sentita male, di non aver chiamato la polizia. Forse Pamela si sarebbe salvata. Ho fatto qualcosa di orrendo, preso dal panico. Vista la mia condizione di ragazzo straniero che ha vissuto sulla sua pelle il viaggio in mare che ho fatto, partendo dalla Libia, che ha subito violenze di ogni genere insieme alle altre persone sequestrate dagli scafisti, mai e poi mai avrei violentato e ucciso una ragazza».

E sottolinea: «Non sono questo, non sono un assassino stupratore. La ragazza (Pamela, ndr) purtroppo è morta per droga. Quando ha collassato - ricorda - pensavo, e Dio mi è testimone, che stesse dormendo. Ho sottovalutato tutto perché non ho capito ciò che mi stava accadendo e quando sono rientrato a casa, l'ho trovata con la bava alla bocca, fredda. Mi è caduto il mondo addosso. C'era una ragazza inerme, senza vita in casa mia. Ho pensato subito alla mia famiglia e al rischio di perdere tutto quello che avevo sempre desiderato. Chiedo scusa a Pamela, che è in cielo - conclude Oseghale - a tutta la sua famiglia, in particolare alla sua mamma. Oggi in carcere lavoro 7 ore al giorno, dal lunedì al venerdì, ho fatto un corso di alfabetizzazione per imparare al meglio l'italiano, faccio molta attività fisica, ascolto musica, guardo la tv e ho intrapreso un cammino cristiano di fede perché ho capito quanto è grande l'amore di Dio e prego, e vado a messa tutte le domeniche. È la fede che mi sta dando la forza di andare avanti, il lavoro che mi tiene impegnato da due anni.

La speranza è che la realtà dei fatti emergerà». 

La famiglia: «Faccia i nomi dei suoi complici»

«Sono cinque anni e tre mesi e mezzo che sento sciocchezze da Oseghale. Non si deve permettere di paragonare il mio dolore con il suo, il fatto che non può vedere i figli con l'uccisione di Pamela, che è morta per mano sua e dei suoi complici. Non esiste. È colpa sua se non ho più mia figlia ed è sempre colpa sua se lui non ha più i suoi, glieli hanno tolti e hanno fatto bene». Alessandra Verni, mamma di Pamela Mastropietro, commenta così all'Adnkronos la lunga lettera scritta da Innocent Oseghale alla stessa agenzia di stampa.

Il 35enne nigeriano, detenuto nel carcere di Forlì con l'accusa di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi il cadavere di sua figlia, nemmeno 19enne, ha detto di aver subito violenze dagli scafisti nel suo viaggio dalla Libia all'Italia. «Lui ha subito violenze? - ribatte la mamma di Pamela - E le ha rifatte tutte su mia figlia. Contrariamente a quello che dice, non è affatto pentito, ciò che ha fatto a Pamela lo ha già fatto in Nigeria. Da mamma leggere queste parole fa salire la rabbia. Se davvero non è stato lui, perché non fa i nomi dei reali responsabili? Perché è certo che in casa (nell'appartamento in via Spalato, a Macerata, ndr) quel giorno ci fossero altri. Se è pentito, faccia i nomi di chi era con lui. Ha detto di non conoscere gli effetti della droga che Pamela si era somministrata e che l'aveva fatta sentire male. Ma come? Gliel'ha venduta lui, con i suoi connazionali. Lo sa benissimo». «Non solo - conclude - ha detto che si sta avvicinando alla fede. Non sarà perché partecipò, tra l'altro poco prima dell'omicidio, alla festa dell'immigrato e la Chiesa gli pagò tre mesi di affitto? Oseghale ha rifiutato i lavori per spacciare, per delinquere».

«Oseghale ha mentito sin dal suo arrivo in Italia, quando ha cercato di abusare del diritto alla protezione internazionale che, contrariamente alle sue aspettative, non gli è stato riconosciuto. Così come ha mentito al processo di Pamela, chiamando in correità gli altri suoi due connazionali, inizialmente indagati con lui e sui quali sono sopraggiunti elementi interessanti che abbiamo sottoposto alla Procura competente». Marco Valerio Verni, zio di Pamela Mastropietro e legale della famiglia, replica così all'Adnkronos alle parole affidate alla stessa agenzia di stampa da Innocent Oseghale.

«Oseghale non fa altro che ripetere la versione dei fatti sostenuta nei cinque gradi di giudizio che finora si sono svolti e che hanno stabilito in maniera certa e definitiva la sua colpevolezza in merito all'omicidio e a quello che ha fatto sul corpo di Pamela dopo. Non solo - spiega - la disarticolazione chirurgica, il depezzamento in più di venticinque parti, ma anche l'inserimento nei trolley di tutto questo scempio, poi abbandonati sul ciglio della strada. Solo sulla violenza sessuale si era invece, a febbraio scorso, disposto da parte della Corte di Cassazione un ulteriore accertamento svoltosi presso la Corte di Assise di Appello di Perugia che ha portato nuovamente alla conferma anche di questo reato, quale aggravante dell'omicidio».

Il 35enne nigeriano, nella sua lettera all'Adnkronos, ha parlato di pregiudizi nei suoi confronti, legati al fatto che sia un immigrato di colore. «Non si vede dove sia stato o in cosa sia consistito il pregiudizio denunciato da Oseghale nei suoi confronti - ribatte lo zio della ragazza - dal momento che, tanto per dirne una, è stato difeso da due avvocati e sei/sette consulenti tecnici tutti molto agguerriti, godendo, peraltro, di tutte le garanzie riconosciute a qualsiasi imputato dal nostro ordinamento, come giusto che fosse. A tratti,anche ingenerando nei genitori di Pamela,ed in molte altre persone,anche un senso di frustrazione, che può essere naturale agli occhi di chi abbia avuto una figlia ridotta in quel modo e veda riconosciuti al suo carnefice i più impensabili diritti, per chi non è avvezzo alle aule di giustizia. All'inizio,peraltro,ci siamo anche domandati chi pagasse questo suo nutrito collegio difensivo visto che, per una precedente condanna di spaccio ,non aveva potuto accedere al patrocinio a spese dello Stato, nonostante ci avesse provato».

«Il nigeriano in questione afferma poi di aver subito delle torture nei campi di prigionia libici - dice ancora all' Marco Valerio Verni - prima di venire in Italia: ha denunciato i suoi aguzzini? La sua domanda di protezione internazionale è stata rigettata in tutti i gradi di giudizio che ha perseguito. Strano,no? Noi continuiamo ad ipotizzare che lui in prima persona, ed alcuni suoi connazionali pure finiti nelle indagini dei vari filoni, possa fare parte di una organizzazione criminale etnica, magari anche di stampo mafioso. Aspetto questo sul quale, a nostro parere, non si sono svolte, e dispiace ribadirlo, indagini accurate. D'altronde è inspiegabile perché lo stesso ex Questore di Macerata, oggi consigliere del Ministro dell'Interno, Antonio Pignataro, ha parlato di mafia nigeriana, collegandola proprio alla vicenda di Pamela, in un suo intervento di qualche mese fa ad un convegno di avvocati, a Roma, descrivendo una situazione molto grave in tal senso, nonostante a livello giudiziario nulla sia emerso o si sia approfondito».

Non solo. «Oseghale ci dovrebbe spiegare perché abbia sul corpo i segni tipici dell'affiliazione a qualche cult nigeriano o perché i suoi due connazionali, intercettati in carcere, abbiano detto che lui, quello che aveva fatto a Pamela già lo aveva fatto altre volte, in Nigeria, e che lui era uno dei capi (di cosa?). Nulla vieta che, nel caso l'ergastolo venisse confermato, lui possa crollare e fare i nomi degli eventuali complici. Perché se è vero che ha posto in essere un unicum nella storia della criminologia mondiale degli ultimi cinquanta anni, o è un macabro genio della chirurgia, o qualcuno lo ha inevitabilmente dovuto aiutare». 


Ultimo aggiornamento: Giovedì 11 Maggio 2023, 15:09
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