Pamela Mastropietro, l'ergastolo a Oseghale a rischio per un cavillo. La famiglia: «Non molliamo di un millimetro»

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Non vede pace il caso di Pamela Mastropietro, la ragazza romana violentata, uccisa e fatta a pezzi a Macerata, per il cui omicidio è in vista il processo d'appello, dopo che in primo grado c'è stata la condanna del nigeriano Innocent Oseghale: una recente sentenza della Corte di Cassazione, secondo la quale la notifica all'imputato detenuto va eseguita presso il luogo di detenzione, «potrebbe pregiudicare acquisizioni probatorie sulle quali si fonda la sentenza di primo grado» nei confronti dello stesso Oseghale, afferma all'Adnkronos il suo legale, l'avvocato Simone Matraxia.

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Secondo la difesa di Oseghale il principio su cui si è pronunciata la Cassazione, legato a un altro procedimento, potrebbe avere riflessi anche sul processo al nigeriano visto che alcuni atti furono notificati, non in carcere, ma al domicilio eletto presso lo studio dell'allora legale: se così fosse potrebbero essere a rischio acquisizioni probatorie decisive come, «tra le più rilevanti - riferisce Matraxia - gli accertamenti medico-legali e quelli tossicologici».

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I legali di Oseghale hanno presentato, nelle scorse settimane, richiesta per il processo di appello e attendono ora la fissazione dell'udienza. «Noi con la richiesta del processo di appello avevamo sollevato anche questa questione e siamo pronti a discuterla - sottolinea Matraxia, legale del nigeriano insieme al collega Umberto Gramenzi - Bisogna aspettare l'appello». «Anche se bisognerà aspettare le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione, la pronuncia va nella direzione che noi avevamo indicato», conclude il legale ricordando di aver sollevato la questione di come era stati notificati alcuni atti ad Oseghale già nel corso del processo di primo grado.



FAMIGLIA PAMELA: SERENI E FIDUCIOSI «Per quanto ci riguarda rimaniamo sereni e fiduciosi sia perché, al di là dell'enunciazione del principio di diritto, dovremo, come tutti, necessariamente attendere la motivazione intera che potrebbe, naturalmente prevedere delle sfumature e delle eccezioni, dipoi perché nel caso concreto, c'è di fatto che il nigeriano abbia più volte, durante il suo stato di detenzione, non solo rinnovato la nomina al suo iniziale avvocato di fiducia, ma anche l'elezione di domicilio presso lo studio di quest'ultimo», ha fatto sapere, in un post su Fb, la famiglia di Pamela. «In buona sostanza - osservano i familiari della giovane vittima - ha scelto volontariamente e scientemente di non voler ricevere gli atti in carcere (anche per motivi che sono ben immaginabili), ma presso il suo difensore. Ad ogni modo, ove si verificasse l'imponderabile, attueremo le contromosse opportune. Noi non molliamo di un millimetro». 

La famiglia di Pamela, nel post, spiega anche la questione sollevata dalla difesa del nigeriano secondo cui potrebbero essere invalidati alcuni accertamenti effettuati sul corpo di Pamela (medico-legali e tossicologici), che sarebbero risultati decisivi per portare la Corte di Assise di Macerata a condannare all'ergastolo il nigeriano Innocent Oseghale. «Tale pericolo deriverebbe da un recente pronunciamento con cui si sarebbero espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a dirimere la questione di diritto 'se sia valida la notifica all'imputato detenuto eseguita presso il domicilio eletto e non presso il luogo di detenzione' - precisa la famiglia di Pamela - Ebbene, gli ermellini, all'udienza del 27 febbraio 2020, avrebbero adottato la soluzione secondo cui 'la notifica all'imputato detenuto va eseguita presso il luogo di detenzione'.
Cosa che, invece, secondo i difensori del nigeriano, non sarebbe avvenuta nei confronti del loro assistito, per alcuni atti». 

Ultimo aggiornamento: Lunedì 2 Marzo 2020, 22:03
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