La vicenda processuale risale al giugno 2010: da anni la donna, che aveva già un equilibrio fisico precario per l'insorgere della patologia, veniva sistematicamente picchiata e costretta a subire violenze psicologiche da parte del marito.
L'unico supporto era garantito dal figlio adolescente, che confermò la versione fornita dalla mamma subito dopo l'arresto. Una notte, al culmine dell'esasperazione, la donna prese un coltello e uccise l'uomo nel sonno. Per cercare di sfuggire alla cattura, non potendo dileguarsi fisicamente, cercò di simulare un suicidio del marito. Una tesi che resse poche ore, fino a che l'autopsia scoprì che alcune delle ferite erano posizionate in modo tale che fosse impossibile che la vittima se le fosse inferte da sé. Seguì il processo e la condanna, in via definitiva, a dieci anni. Per una serie di questioni burocratiche la sentenza era passata in giudicato già dalla fine del 2015, periodo dal quale la donna risultava formalmente ricercata. In realtà, proprio per le pessime condizioni di salute, non si è mai mossa dalla propria dimora, nella quale beneficiava di aiuti da parte delle istituzioni locali.
Ultimo aggiornamento: Sabato 25 Novembre 2017, 13:31
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