Ndrangheta, arresti in tutta Italia: «Colonizzato il Nord». Durante il Covid la droga girava con l'ambulanza

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Durante il primo lockdown, mentre tutti erano chiusi in casa e si poteva uscire solo per lavoro o per motivi di salute, la droga non poteva fermarsi: perciò come copertura veniva trasportata con le ambulanze. Ha dell'incredibile quanto emerso da un'inchiesta della Direzione distrettuale Antimafia, che ha visto 76 arresti in varie regioni italiane: cocaina, marijuana, hashish erano le droghe che il gruppo di Giostra sgominato dalla Guardia di finanza di Messina faceva arrivare dalla Calabria, tramite collegamenti con base operativa a Reggio Calabria e nelle roccaforti 'ndranghetiste di San Luca e Melito Porto Salvo.

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I fornitori non si fermavano neppure durante il Covid: durante la pandemia, per eludere i controlli delle Forze di Polizia e poter beneficiare, nel contempo, di un canale di passaggio prioritario sullo Stretto, provvedevano alla consegna dello stupefacente a Messina utilizzando autoambulanze. I Carabinieri stanno eseguendo in varie regioni una misura cautelare in due operazioni congiunte contro la ' ndrangheta: i militari del Gruppo di Gioia Tauro (Reggio Calabria) 65 arresti - 47 in carcere, 16 ai domiciliari - e due obblighi di dimora; i Ros di Brescia 13 arresti - 12 in carcere, uno ai domiciliari.

Le cosche colpite sono i Bellocco di Rosarno, gli Spada di Ostia (due destinatari di misura), i Lamari-Larosa-Pesce della piana di Gioia Tauro. Per la parte di Brescia, il Ros ha operato insieme alla Guardia di finanza per un sequestro preventivo di imprese, beni immobili, quote societarie per un valore di circa 5 milioni. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, concorso esterno, porto e detenzione di armi comuni e da guerra, estorsione, usura, danneggiamento, aggravati dal metodo mafioso, nonché associazione finalizzata al traffico di droga, riciclaggio, autoriciclaggio e associazione per delinquere finalizzata a reati tributari e frodi in danno dello Stato.

93 indagati da Dda Reggio Calabria

Sono 93 complessivamente gli indagati nell'inchiesta «Blu Notte» che stamani, nel filone reggino, ha portato all'arresto di 63 persone di cui 47 in carcere e 16 ai domiciliari e 2 all'obbligo di dimora. Sono indagati, a vario titolo, per associazione mafiosa, concorso esterno, porto e detenzione di armi comuni e da guerra, estorsioni, usura e danneggiamenti aggravati dalle finalità mafiose, riciclaggio e autoriciclaggio, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Il principale indagato è Umberto Bellocco, di 39 anni, detto «Chiacchiera» e ritenuto il boss reggente dell'omonima cosca di Rosarno.

L'indagine della Dda di Reggio Calabria, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri, ha svelato gli interessi della consorteria mafiosa della Piana. In particolare i carabinieri del gruppo di Gioia Tauro hanno ricostruito le dinamiche interne alla cosca Bellocco, attiva nel narcotraffico, nel traffico delle armi, nelle estorsioni e nel controllo delle attività commerciali e imprenditoriali soprattutto nei territori dei Comuni di Rosarno e San Ferdinando. L'inchiesta ha dimostrato, inoltre, non solo gli interessi della famiglia mafiosa in molte zone del Paese ma anche il dato che i Bellocco potevano contare su importanti ramificazioni all'estero.

Contestualmente agli arresti eseguiti in Calabria e collegata all'indagine della Dda di Reggio, è scattata l'operazione «Ritorno» della Dda di Brescia, condotta dai carabinieri del Ros insieme allo Scico ed al Gico del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Brescia della Guardia di finanza. Il gip lombardo ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare per altri 13 soggetti accusati di associazione mafiosa, concorso esterno e tentata estorsione. Sei sono accusati anche di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari e in materia di lavoro. Su richiesta del procuratore Francesco Prete è stato anche disposto il sequestro preventivo di beni e disponibilità finanziarie per oltre 4 milioni di euro, quale profitto dei reati in materia di imposte sui redditi ed iva. L'indagine, secondo gli investigatori, costituisce un esempio di collaborazione e coordinamento delle Dda di Reggio e Brescia sotto l'egida della Dna, che hanno consentito alle due Procure, ciascuno per gli ambiti di propria competenza, di ridisegnato i nuovi equilibri della cosca Bellocco e le sue proiezioni nel Nord Italia.

Cellulari e sim in carcere al boss Bellocco

L'indagine «Blu notte» ha fotografato il cambio di vertice della cosca di Rosarno un tempo guidata dal vecchio patriarca Umberto Bellocco, detto «Assi i mazzi», deceduto il 22 ottobre scorso. A lui viene ricondotta anche la nascita della Sacra Corona Unita pugliese, fatta risalire alla notte di Natale del 1981 nel carcere di Bari. Grazie alle intercettazioni fatte dai carabinieri, il procuratore Giovanni Bombardieri e i pm Francesco Ponzetta e Andrea Sodani sono riusciti a registrare il «passaggio di mano» al nipote omonimo Umberto Bellocco, di 39 anni detto «Chiacchiera».

L'uomo ha dimostrato di avere la completa gestione del sodalizio e il conseguente controllo di tutti i consociati e ha dato prova, secondo i pm, di essere un leader temuto: le persone ammesse a confrontarsi con lui hanno esternato sempre atteggiamenti ossequiosi ed accondiscendenti, dimostrando il loro assoggettamento. «Chiacchiera» era in grado di comunicare anche dal carcere. Dopo la condanna per associazione mafiosa, definitiva dal 2014, Bellocco è stato detenuto a Lanciano ma questo non gli ha impedito di rimanere «in comunicazione - scrive il gip - con l'esterno mediante una serie di telefoni e schede forniti grazie alla collaborazione di alcuni soggetti sia interni che esterni all'istituto». In questo modo Bellocco avrebbe potuto partecipare ai summit mafiosi, potendo espletare tutte quelle funzioni che gli sono state riconosciute come capocosca.

Gli approfondimenti dei carabinieri hanno permesso alla Dda di accertare anche le responsabilità di coloro che hanno costituito la filiera necessaria a fornire microtelefoni cellulari, sim-card e ricariche. Gli investigatori sono riusciti a documentare anche l'affiliazione di due soggetti arrestati oggi. Il loro ingresso è avvenuto nonostante alcune frizioni che minavano gli equilibri interni. Le affiliazioni, infatti, sono state effettuate con l'avallo di un altro esponente di vertice della cosca Bellocco, Francesco Nocera. Recluso nel carcere di Saluzzo (Cuneo), anche lui aveva un cellulare attraverso il quale ha concesso il suo benestare che si aggiungeva a quello di Vincenzo Lombardo, uno degli esponenti della cosca Bellocco riconducibile al ramo dei «Testazza».

Le cosche hanno colonizzato il Nord

Le indagini della Dda di Brescia sono partite dall'attività del Ros iniziata nel 2018 e che, sulla scia di quanto già accertato nell'indagine 'Nduja del 2005, ha confermato la presenza della cosca 'Bellocco' nelle province di Brescia e Bergamo, «delineandone assetti organizzativi - spiegano carabinieri e GdF -, collegamenti con le omologhe strutture presenti in Calabria e attività delittuose principalmente legate all'infiltrazione dell'economia legale». Per la Dda, è Umberto Bellocco, 39 anni, già condannato in via definitiva nel 2009 per associazione mafiosa nell'ambito dell'indagine 'Nduja e nipote dell'omonimo storico capo della cosca di Rosarno morto quest'anno, «l'elemento di vertice della proiezione operante in Lombardia» il quale, nonostante fosse detenuto, avrebbe continuato a dirigere le attività illecite «veicolando direttive ai propri familiari, concorrenti nei reati».

Nell'operazione sono stati individuati «i terminali calabresi (stanziali a Rosarno) della struttura criminale lombarda i quali concorrevano nella gestione delle molteplici attività economiche di interesse del sodalizio realizzate prevalentemente tramite un imprenditore» attivo tra Brescia e Bergamo nei settori edile e immobiliare.

L'uomo avrebbe «fornito un fattivo contributo anche mediante la commissione di delitti tributari e di somministrazione fraudolenta di manodopera, attuati attraverso un articolato circuito di società cartiere deputate all'emissione di fatture per operazioni inesistenti» ricostruito dalla GdF.

Per Ros e GdF l'indagine documenta nuovamente «l'esistenza di proiezioni della ' ndrangheta in regioni diverse dalla Calabria» e consente di «confermare l'esistenza di un fenomeno di colonizzazione dovuto al trasferimento di affiliati calabresi in altri territori precedentemente immuni da tali manifestazioni criminali, soprattutto in quei territori caratterizzati da un maggiore sviluppo economico e da un più ampio grado di ricchezza generale». Le attività di polizia giudiziaria sono state estese - col supporto dei comandi provinciali dei Carabinieri e GdF - nelle province di Brescia, Bergamo, Como, Varese, Monza Brianza, Roma, Chieti, Reggio Calabria e Siracusa.

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Alleanza con gli Spada di Ostia

All'interno del circuito penitenziario, la cosca Bellocco aveva stretto un'alleanza con il clan Spada di Ostia. Ô quanto emerge dall'inchiesta «Blu notte» dei carabinieri che stamattina ha portato all'arresto di 65 persone su richiesta della Dda di Reggio Calabria che ha monitorato nel carcere di Lanciano i movimenti del boss Umberto Bellocco detto «Chiacchiera». In particolare, quest'ultimo, secondo l'accusa, è entrato in contatto con alcuni esponenti degli Spada. Tra questi c'è Ramy Serour di 32 anni che, una volta uscito dal carcere di Lanciano - è la ricostruzione degli investigatori - dopo aver curato l'acquisto dei telefoni cellulari destinati a Bellocco, li ha consegnati a un altro detenuto il quale, approfittando del suo status di semilibero, li ha condotti all'interno.

Assieme al fratello Samy, di 34 anni, il gip ha disposto l'arresto di Ramy Serour che, in un'intercettazione del 26 settembre 2019 a un suo interlocutore racconta come i collegamenti tra i Bellocco e gli Spada siano iniziati all'interno del carcere: «La verità frà, la verità! Oggi io sono stato invitato ad un tavolo, eravamo diciassette persone, tutti... la ' ndrangheta!». L'accordo con gli Spada ha riguardato pure i traffici di cocaina effettuati dalla Calabria verso il litorale romano e la risoluzione di situazioni conflittuali tra il clan laziale e alcuni calabresi titolari di attività commerciali nelle aree urbane di Ostia ed Anzio.

Nel corso delle indagini è emerso il tentativo di vendita di una consistente partita di cocaina da parte del clan Bellocco in favore di narcotrafficanti di Ostia esponenti degli Spada. Per conto dei calabresi, a condurre le trattative con il clan romano sarebbe stato Gioacchino Bonarrigo, di 38 anni, anche lui arrestato nell'operazione di stamattina. Ex latitante arrestato nel 2017 ad Amsterdam, Bonarrigo si sarebbe recato più volte a Ostia per incontrare esponenti degli Spada che voleva rifornire con la droga importata dall'estero.

Il summit a Rosarno per gestire i boschi

«I contratti delle montagne o si fanno in questa casa o se li fanno a Laureana, siccome io sono delegato pure da quell'altri si fanno in questa casa». A parlare, il 3 novembre 2019, è Francesco Benito Pelaia, 49 anni, arrestato stamattina dai carabinieri perché ritenuto uno degli uomini di fiducia di suo cognato, il boss Umberto Bellocco detto «Chiacchiera». Agli atti dell'inchiesta «Blu notte», coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, l'intercettazione dimostra come uno dei settori strategici della cosca di Rosarno era quello della spartizione dei proventi relativi allo sfruttamento delle risorse boschive. A tal proposito, il gip ha sequestrato la ditta individuale di Michelangelo Bellocco, 27 anni, finito ai domiciliari per concorso esterno.

Nei confronti di suo padre, Francesco Antonio Bellocco, di 58 anni, il gip ha invece disposto l'arresto in carcere. Nel corso delle indagini sono emersi anche momenti di tensione con gli esponenti della cosca Larosa che, a un certo punto, non hanno più tollerato la «competenza mafiosa» delle famiglie Bellocco e Lamari che, a causa degli accordi stretti circa venti anni prima, si estendeva fino alle aree montane ricomprese tra il Comune di Laureana di Borrello e quello di Giffone. Quegli accordi sulla spartizione dei boschi sono stati messi in discussione dai Larosa provocando pericolose frizioni tra la cosca di Giffone e i Bellocco.

Le tensioni sono state risolte durante un summit svoltosi il 6 novembre 2019 all'interno della «Palfruit», un'azienda agricola di Rosarno dove il cognato del boss, Francesco Benito Palaia, «circondato da un manipolo di giovani sodali armati, giungeva ad un passo dall'uccidere a colpi d'arma da fuoco Massimo Larosa, - si legge nell'ordinanza del gip - venendo infatti bloccato in extremis da Massimo Lamari, anch'egli presente al delicato incontro in qualità di esponente apicale pro tempore della cosca Lamari di Laureana di Borrello». Quando la situazione sembrava destinata a degenerare nello scontro armato, infatti, il peggio è stato evitato da Umberto Bellocco che, dal carcere, ha telefonato ed è intervenuto alla riunione di ' ndrangheta scongiurando così un potenziale eccidio.

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Pressione opprimente dei clan su economia

L'inchiesta «Blu notte» della Dda di Reggio Calabria ha evidenziato come la cosca Bellocco abbia attuato un'opprimente pressione sulle attività economiche operanti nella zona di Rosarno. Le indagini dei carabinieri, infatti, hanno fatto luce sulle richieste estorsive del clan nei confronti dei titolari di molte attività economiche. Imposizioni che perduravano da anni e che servivano a finanziare le trasferte dei familiari dei detenuti che dovevano recarsi ai colloqui in carcere.

La cosca Bellocco ha imposto la cosiddetta «guardiania», esclusivamente nell'intento di far sentire la presenza degli esponenti mafiosi nella zona. In sostanza, secondo i pm guidati dal procuratore Giovanni Bombardieri, c'era un controllo diffuso delle campagne, attuato attraverso persone incaricate di «farsi vedere», esigendo pagamenti che variavano in base all'estensione del fondo posseduto e ai quali dovevano sottostare tutti, anche se formalmente affiliati alla 'ndrangheta. I soggetti più riluttanti ad assecondare le pretese dei boss subivano furti e danneggiamenti a causa dei quali gli veniva imposto di rivolgersi ai rappresentanti della cosca che, così, agivano in surroga agli organi dello Stato. Inoltre, i vertici della famiglia mafiosa erano riusciti a intrecciare rapporti con alcuni imprenditori che ricercavano la loro copertura, stabilendo un regime falsato dove, alle corresponsioni economiche, conseguiva la possibilità di operare in ambiti di concorrenza alterata.

La «cassa comune» della cosca era custodita da una donna, Maria Serafina Nocera, di 69 anni, madre del boss Umberto Bellocco. Anche nei suoi confronti, il gip ha disposto il carcere. Sarebbe stata lei, secondo gli inquirenti, a gestire in maniera oculata i soldi del clan che dovevano servire per il sostentamento dei detenuti e per l'attuazione del programma criminale del figlio. Le investigazioni, infine, hanno permesso di riscontrare pure le forti pressioni subite da un medico odontoiatra di Cosenza costretto da Francesco Benito Palaia, il cognato del boss Umberto Bellocco, a rilasciare certificazioni che attestavano false patologie. Per i pm della Dda di Reggio Calabria, quei certificati servivano all'indagato, arrestato stamattina nell'operazione «Blu notte», per ottenere permessi medici spendibili come alibi che gli avrebbero consentito di allontanarsi dall'abitazione, dove era sottoposto agli arresti domiciliari, ed effettuare incontri con altri esponenti mafiosi. 


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 14 Dicembre 2022, 14:58
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