Sfregiata al volto a 12 anni, Andrea Catizone: «Crisi sociale, le istituzioni hanno fallito»

"Mancano il principio di autorità e la funzione educativa delle istituzioni. Ma non è troppo tardi"

Sfregiata al volto a 12 anni, Andrea Catizone: «Crisi sociale, le istituzioni hanno fallito»

di Enrico Chillè

Sfregiata al volto, a 12 anni, dal fidanzato, un 17enne ora in fuga. L'ennesimo fatto di cronaca che vede come protagonisti dei giovanissimi è avvenuto a Napoli. Andrea Catizone, avvocata e giurista, fa un'analisi di ciò che ha portato ad una simile violenza. Ecco il punto dell'esperta di diritti delle donne e dei minori, nonché presidente di Family Smile.

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Assistiamo, ancora una volta, ad un grave fatto di cronaca in cui l'autore e la vittima sono due giovanissimi. Siamo di fronte ad un problema sociale grave?

«C'è sicuramente un disagio, tra le giovani generazioni, non sufficientemente preso in considerazione. L'uso della violenza tra gli adolescenti, come modo di relazionarsi, sta diventando molto frequente. C'è anche questa idea malata del possesso e della violenza usata per distruggere la vita altrui. Stiamo passando da una società troppo accudente nei confronti dei minorenni ad una società del tutto disinteressata».

In che senso?

«Sono saltati tutti i centri educativi rispetto al ruolo che tutte le istituzioni dovrebbero avere. Gli adolescenti vivono nella solitudine e nella perdita di fiducia delle istituzioni (famiglia, scuola, mondo degli adulti, autorità in generale). Poi matura la convinzione che ognuno possa farsi giustizia da solo, questo è estremamente grave e pericoloso».

Si parla molto spesso del disagio dei giovani causato dalla pandemia. Non rischia di diventare un alibi facile?

«No, sicuramente la pandemia ha avuto un ruolo notevole. Dobbiamo considerare gli adolescenti in una fase di crescita, in cui il tempo è diverso dagli adulti: anche due mesi possono fare una differenza significativa per la costruzione dell'identità. Pensiamo al tema delle relazioni umane: il fatto di non poter interagire con i propri pari ha influito negativamente sull'identità e certe esperienze non possono più essere recuperate. È come sentire una traccia audio con una parte in muto, senza poter tornare indietro».

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Certo, però sembra un alibi facile per gli adulti e per la società in generale.

«Sì, perché bisognava prendere delle contromisure e si è fatto finta di nulla. La scuola, ad esempio, ha ricominciato da dove aveva lasciato prima, senza interrogarsi sui bisogni dei ragazzi, che non erano più le nozioni, per quanto essenziali Queste generazioni, per due anni, hanno patito la mancanza di interazioni e non si può chiedere loro prestazioni tali come se nulla fosse successo. Vanno offerti gli strumenti necessari, altrimenti cresceranno gli individualismi e aumenterà l'individualismo: altro che "andrà tutto bene" e arcobaleni vari...».

Non si può però scaricare tutto sulla scuola...

«No, le responsabilità sono di tutti.

Però vediamo tanti ragazzi che quest'anno hanno avuto dei debiti formativi ed è aumentato l'abbandono scolastico. L'obiettivo principale è la funzione educativa, non possiamo disinteressarci di questa fascia della popolazione per poi dare facili giudizi. Altrimenti finiamo come con il caso dell'ergastolo ai fratelli Bianchi per l'omicidio di Willy Monteiro Duarte».

Si spieghi meglio.

«Anche se parliamo di adulti, la sentenza ci racconta la solitudine del mondo giovanile. Parlo in generale, al di là del dramma del fatto di cronaca. Le istituzioni stanno lavorando solo sulla parte punitiva, trascurando completamente quella educativa. Probabilmente un fatto del genere sarebbe avvenuto lo stesso, perché siamo in un mondo malato. Guardiamo al fatto di Napoli: il "maschio" rivendica la "femmina" come sua proprietà e quando lei non sta ai suoi ordini, si passa alla vendetta, che quasi sempre implica il rovinarle la vita. O con l'omicidio, o sfregiandola a vita».

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Nel caso di Napoli, cosa può essere accaduto?

«Alla base c'è probabilmente questo meccanismo di possesso malato. Forse questo 17enne provava vergogna, davanti alla propria comunità, di non riuscire a controllare la fidanzata. Sto cercando di dare delle motivazioni, non delle giustificazioni. Ora ci sarà sicuramente una sentenza esemplare, ma nessuno si occuperà della rieducazione del ragazzo, lei resterà sfregiata a vita e la società non progredirà».

Assistiamo sempre più spesso a fatti di cronaca con protagonisti giovani e giovanissimi. Si parla da tempo di abbassare l'età per l'elettorato attivo, perché un 16enne di oggi è più maturo e responsabile. Vediamo anche atti di bullismo e violenza da parte di adolescenti minori di 14 anni, con un'alta incidenza di ragazze e ragazzine rispetto al passato. Non è forse il caso di abbassare anche l'età dell'imputabilità?

«Sì, ma solo se lo Stato riuscisse a garantire il proprio ruolo di educatore. Non possiamo trascurare una parte fondamentale come l'educazione e la formazione, premendo solo sulla punizione. Il bullismo e il bodyshaming stanno dilagando anche tra le adolescenti, per questo dico che è un tema sociale. Le istituzioni non se ne occupano abbastanza, le famiglie sono sgangherate ed educare i ragazzi è sempre più impegnativo, per tutti. Ma qualcuno lo deve fare e i genitori sono sempre meno in grado di educare i figli, perché tendono a essere sempre più "amici". Sembrano cavolate, ma non lo sono: se manca il principo di autorità, cade tutta l'educazione. Siamo di fronte al caos sociale totale e alla negazione di ogni regola».

La situazione è già irrimediabile?

«No, si è sempre in tempo per investire nell'educazione. Non va vista come un costo, ma come un investimento che produce ricchezza e benessere, oltre a salvare la vita. Ormai misuriamo tutto in base al loro valore economico: questo disagio è anche un costo per la società. L'educazione ha ed è un valore, per tutti».


Ultimo aggiornamento: Martedì 12 Luglio 2022, 16:10
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