Funivia Mottarone, i verbali degli interrogatori: «Cabina senza freni anche nei giorni precedenti. Il tecnico sentì rumori, ma scrisse tutto ok»

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Mottarone, i verbali degli interrogatori. La cabina numero 3 dell'impianto della funivia Stresa-Mottarone aveva i freni di emergenza disattivati non solo domenica 23 maggio quando la rottura della fune ha innescato l'incidente in cui hanno perso la vita 14 persone, ma anche il giorno prima, sabato 22 maggio. E' un dettaglio contenuto nella richiesta di convalida del fermo che riporta parte delle dichiarazioni rese da Gabriele Tadini, capo servizio dell'impianto attualmente in carcere a Verbania.

Una scelta legata al fatto che il sistema segnalava in modo costante un problema ai freni, ossia una perdita di pressione che faceva scattare le ganasce quindi fermava la corsa. Tadini dichiara che domenica scorsa «tale scelta di inibire il sistema frenante era stata soltanto sua, senza avvisare nessuno, né il titolare Luigi Nerini, né il direttore di esercizio l'ingegnere Enrico Perocchio», entrambi in stato di fermo, si legge nel documento firmato dal procuratore Olimpia Bossi e dal pm Laura Carrera.

 

Tadini «aggiungeva che anche il giorno precedente, sabato 22 maggio, posto che la cabina numero 3 presentava gli stessi problemi, aveva evitato di togliere il 'forchettone', facendola viaggiare tutto il giorno con il sistema frenante inibito. Non aveva, tuttavia, annotato l'evento sul libro giornale, né avvisato nessuno». Un falso che sabato, solo per un caso, non ha fatto vittime.

Il capo servizio dell'impianto della funivia del Mottarone, Gabriele Tadini, annotò il falso nel »Registro Giornale«, dove vanno segnalati quotidianamente gli eventuali problemi tecnici, parlando di »esito positivo dei controlli« in particolare sul funzionamento dei freni. E lo avrebbe fatto sia il 22 che il 23 maggio, ossia il giorno stesso della tragedia, quando la cabina numero 3 è volata via a velocità folle per la rottura della fune che la trainava. Mentì in pratica, secondo la Procura di Verbania, malgrado avesse »sentito provenire dalla cabina un rumore-suono caratteristico riconducibile alla presumibile perdita di pressione del sistema frenante« che si ripeteva »ogni due-tre minuti« e da tempo.

Il nuovo dettaglio, che rende ancora più palese quanto fosse insicura quella cabinovia su cui salirono cinque famiglie, viene a galla dalla richiesta di custodia cautelare in carcere firmata dal procuratore di Verbania Olimpia Bossi e dal pm Laura Carrera per Tadini, per il titolare delle Ferrovie del Mottarone, Luigi Nerini, e per il direttore di esercizio Enrico Perocchi, tutti accusati di omissione dolosa di cautele aggravata dal disastro, per quei forchettoni rossi inseriti in modo da disattivare i freni malfunzionanti.

E ancora omicidio e lesioni colpose per la morte di 14 persone, tra cui due bimbi, e il grave ferimento del piccolo di 5 anni ricoverato.

Il particolare sull'ulteriore reato di falso ideologico e materiale, contestato al solo responsabile dell'impianto, arriva alla vigilia degli interrogatori davanti al gip Donatella Banci Buonamici che si terranno in carcere.

Tadini, dal canto suo, assistito dall'avvocato Marcello Perillo, è l'unico che ha reso ammissioni e ora è »distrutto, pentito e solo nelle mani di Dio«. Ed è pronto a confermare le sue dichiarazioni domani, dopo aver delineato in un colloquio col legale la strategia difensiva, che così si può riassumere: »Ho corso il rischio di inserire quei forchettoni perché il problema ai freni continuava a bloccare la cabina, ma l'ultima cosa al mondo che pensavo è che si potesse rompere il cavo traente«.

Se il sistema frenante fosse stato attivo, però, la cabina sarebbe stata retta dal cavo portante. Per la difesa di Tadini, comunque non sembra possibile che »la forchetta« che bloccava le ganasce possa aver influito sulla frattura della fune. Ipotesi questa, però, tra quelle al vaglio degli investigatori (i carabinieri continuano e continueranno a sentire operai e manutentori), così come il possibile legame tra il problema al sistema frenante, che causava quei »suoni« sentiti da Tadini, allarmi frequenti e blocchi, e la 'debolezzà della fune che stava per schiantarsi.

Ci si aspetta che sia il consulente esperto della Procura, Giorgio Chiandussi, a fornire una risposta certa che manca sulla causa dell'incidente. Ciò che è certo, per i pm, è che i tre fermati devono restare dentro, perché continuando a lavorare in questo settore potrebbero rimettere in pericolo la »sicurezza pubblica« e reiterare il reato. Altri rischi, scrivono, sono i pericoli di fuga, già ben messo in luce nel fermo di due giorni fa, e di inquinamento probatorio perché potrebbero concordare le versioni. Per ora, la difesa di Nerini, col legale Pasquale Pantano, ci tiene a precisare solo che il titolare »non ha mai parlato« a verbale e che »i fatti si accertano nelle aule di un Tribunale«.

Gli inquirenti accusano il gestore e Perocchio di aver avallato »la decisione di Tadini« facendogli presente la »necessità di non interrompere il funzionamento della funivia, inevitabile se si fossero dovuti effettuare interventi di manutenzione di portata più estesa«. Funivia tornata a viaggiare a fine aprile dopo le restrizioni anti-Covid. E se pare che anche Perocchio voglia difendersi dall'impostazione dei pm, la difesa di Tadini punta quantomeno ai domiciliari e a contestare punto per punto le esigenze cautelari. Su tutto ciò dovrà decidere il giudice.


Ultimo aggiornamento: Lunedì 31 Maggio 2021, 09:24
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