Nel 1980, per 270 milioni di lire, acquistò da un nobile il Castello Mediceo di Ottaviano, in provincia di Napoli, che divenne il simbolo della forza, della sua autorità. Il castello, nel 1991, gli venne confiscato diventando, successivamente, di proprietà del Comune. Era il camorrista per eccellenza Raffaele Cutolo, fondatore nonché capo della Nuova Camorra Organizzata morto nel reparto sanitario del carcere di Parma, lo stesso dove spirò a fine 2017 Totò Riina, dopo una lunga malattia. Aveva 79 anni ed era il carcerato al 41bis più anziano. Era detenuto, ininterrottamente dal 1979, dopo il suo arresto ad Albanella, in provincia di Salerno.
Un anno prima era evaso in maniera clamorosa, a colpi di bombe, dall'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa. Soprannominato «ò professore», nacque ad Ottaviano, in provincia di Napoli, il 4 novembre del 1941. Nel 1983 sposò Immacolata Jacone, nel corso di un matrimonio celebrato nel carcere dell'Asinara. Lo scorso giugno, il simbolo della criminalità organizzata non solo campana, è tornato alla ribalta delle cronache per la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Bologna di lasciarlo in cella, al 41bis, malgrado le sue condizioni di salute incompatibili con la detenzione carceraria, per la sua pericolosità, rimasta intatta, secondi i giudici malgrado fosse vecchio e malfermo.
Cutolo, infatti, non si è mai distaccato dalla mentalità camorristica, non ha mai voluto intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia ed è sempre rimasto fedele alle sue convinzioni. Il suo primo omicidio l'ha commesso per questioni di onore, per difendere la sorella Rosetta dagli apprezzamenti di un giovane del suo paese.
Nel '78 Cutolo era latitante e si sarebbe fatto avanti per cercare, sostiene lui, di salvare Moro. «Per Ciro Cirillo si mossero tutti, per Aldo Moro nessuno, per lui i politici mi dissero di fermarmi, che a loro Moro non interessava». «Con la morte di Cutolo - commenta Ciro Auricchio, segretario del sindacato di Polizia Penitenziaria USPP - si chiude una delle pagine più buie delle carceri italiane: l'uccisione del vice direttore della casa circondariale di Napoli Poggioreale Giuseppe Salvia, a cui oggi è in intitolato l'istituto di pena, assassinato a Napoli nell'aprile del 1981 perché non voleva rispettare le 'regolè». (ANSA).
Ultimo aggiornamento: Giovedì 18 Febbraio 2021, 00:32
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