È stato detenuto per 13 anni, alcuni dei quali al 41 bis, e appena scarcerato era tornato alla guida del clan. Oggi Giovanni Lo Duca, boss di Messina, è finalmente tornato in cella. Le indagini, avviate dopo la scarcerazione del padrino, hanno accertato che il capomafia aveva riassunto le redini dell'organizzazione ed era riconosciuto come punto di riferimento criminale sul territorio, intervenendo «autorevolmente» nella risoluzione di controversie fra esponenti della criminalità. Dopo quasi due anni di intercettazioni e servizi di osservazione, i carabinieri hanno documentato come il suo clan, attraverso il sistematico ricorso alle minacce e alla violenza, con pestaggi e spedizioni punitive, era riuscito ad affermare il pieno potere e a controllare le attività economiche della zona.
Base operativa era il bar «Pino» gestito da Anna Lo Duca, sorella del capomafia che trascorreva le sue giornate nel locale e lì incontrava gli altri esponenti mafiosi per pianificare estorsioni e scommesse sportive anche per conto di un allibratore straniero. Il bar è stato sequestrato. Il clan mafioso di Messina «esercitava un controllo capillare del territorio», «tanto che qualsiasi iniziativa assunta nel rione era assoggettata al preventivo »placet« di Giovanni Lo Duca che si proponeva quale soggetto in grado di sostituirsi allo Stato nella gestione delle »vertenze« sul territorio». È quanto emerge dall'operazione antimafia di Messina che ha prtato all'emissione di 33 misure cautelari.
In una circostanza, per esempio, è emerso come una donna del quartiere si fosse rivolta a Lo Dico «per ottenere la liberazione del proprio figlio minorenne che era stato trattenuto contro la sua volontà da un pregiudicato del posto che lo voleva punire per delle offese pubblicate dal ragazzo su Facebook».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 9 Aprile 2021, 08:11
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