Lamezia Terme, sversavano nel cuore della Calabria i rifiuti di mezz’Italia: 15 arresti

Sversavano nel cuore della Calabria i rifiuti di mezz’Italia: 15 arresti

di di Mario Meliadò
Intercettazioni telefoniche e ambientali, appropriate ricostruzioni investigative, indiscutibili video delle telecamere di sorveglianza; ma tutto è partito dalla segnalazione di un semplice cittadino, che «ha aperto uno squarcio di luce». Così otto persone sono finite dietro le sbarre per traffico illecito di rifiuti e inquinamento ambientale, altre 7 agli arresti domiciliari e per ulteriori 5 soggetti è stato disposto l’obbligo di presentarsi alla Polizia giudiziaria dopo l’operazione Quarta Copia posta in essere dalla Squadra mobile di Catanzaro e dal Commissariato di Lamezia Terme, sempre nel Catanzarese, col coordinamento congiunto del procuratore distrettuale di Catanzaro Nicola Gratteri, del suo aggiunto Vincenzo Capomolla e dei pm antimafia Elio Romano e Corrado Cubelloti e, per la Procura lametina, dal procuratore capo di Lamezia Terme Salvatore Curcio (già aggiunto a Catanzaro) e dal pm Marica Brucci. I 20 soggetti coinvolti avrebbero dato corpo a una gang che raccoglieva una mole di scarti, inclusi i rifiuti speciali – per esempio, ingenti quantitativi di farmaci – e li interrava senza alcuna autorizzazione sul territorio di Lamezia, città da 80mila abitanti nel centro geometrico della Calabria.

“Ovviamente”, ad accoglierli erano discariche abusive. Le due ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite in dieci diverse province del Paese, in collaborazione con le Squadre mobili delle Questure di Milano, Varese, Como, Torino, Bologna, Salerno e Benevento; il più giovane tra i soggetti raggiunti da misura cautelare è il 25enne Domenico Antonio Sacco (ai domiciliari), il più anziano è una tra le persone gravate dell’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria, il 68enne Gennaro Battipaglia. Al “volante” dell’organizzazione criminosa, però, c’erano Maurizio Bova e Angelo Romanello: perni degli affari illegali da un lato la discarica di località Bagni e quella, sempre a Lamezia Terme, di località San Sidero, pericolosamente prossimi a corsi d’acqua, non sia esattamente con quali ricadute per la salute pubblica e l’incolumità delle persone. E prima che decorrano i prossimi anni, di certo questo non si potrà sapere con esattezza, dal punto di vista epidemiologico. Tecnicamente, gli scarti sversati arrivavano dalla Campania, in realtà però i malavitosi campani – un po’ come in certe pagine di Gomorra – erano soltanto il terminale di una poderosa raccolta di rifiuti provenienti da tante altre regioni del nostro Paese. Dal punto di vista formale, peraltro, si trattava di tonnellate di spazzatura destinate allo stoccaggio in siti settentrionali e muniti di regolare autorizzazione: in concreto, però, spendendo molto ma molto meno gli imprenditori del Nord certe scorie le smaltivano spedendo autocarri stracolmi nel profondo Sud, “senza tetto né legge”. Tutto era particolarmente facile grazie a due società di comodo, la Ecoloda (con sede nella vicinissima Gizzeria) e la Crm (“Centro recupero materiali”, società dal “quartier generale” bolognese, precisamente a Dozza), che provvedevano all’illegale gestione della filiera del recupero e dello smaltimento dei rifiuti; entrambe le imprese sono state sequestrate. Immagini e atti processuali fanno capire che gli step erano sempre gli stessi.

Alla guida dei semirimorchi utilizzati per trasportare illecitamente gli scarti, quasi sempre c’era Giuseppe Leto, «trasportatore di fiducia di Bova e Romanello» (peraltro, con precedenti per estrazione abusiva d’inerti) insieme a Domenico Bernardo. Certo però Leto e Bernardo non potevano sapere di viaggiare con un rilevatore Gps piazzato dai tutori della legge sotto i loro camion. Ricorrente la “cooperazione” illegale di aziende come “Ecomediterranea” e “Lauritano & figli”, pure con l’indebita emissione di Fir (Formulari d’identificazione rifiuti) a favore della Ecoloda che, da ambo i lati, nei fatti «contenevano false attestazioni», scrive il giudice per le indagini preliminari. Sul versante felsineo, la titolare della ditta di Dozza, Michelina Imparato, con l’intermediazione delinquenziale di Matteo Molinari (adesso agli arresti in casa, come la Imparato), per denaro «metteva a disposizione di Bova e Romanello le proprie autorizzazioni in materia ambientale, attestando falsamente – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – di ricevere rifiuti» invece diversamente smaltiti. E questo, paradossalmente, anche se la Crm di Dozza ormai dal febbraio 2018 «non disponeva neppure di una sede aziendale, mancando finanche di un’apparente struttura ricettiva dei carichi di rifiuti»; mentre Leto – appunto, il conducente dei mezzi pesanti per il trasporto illecito degli scarti – avrebbe dovuto essere munito del dono dell’ubiquità, per riuscire a essere quasi in simultanea a Sparanise (sede della Ndn Ecorecuperi in provincia di Caserta) e a Dozza (teorica ubicazione della Crm) per un altro carico. I due centri, per la cronaca, distano fra loro 566 chilometri. In realtà, grandi quantità di rifiuti venivano poi illecitamente sversate nel sito di San Sidero, discarica del tutto abusiva gestita da Giuseppe, Gianfranco e Antonio Felice Liparota.

Inequivocabili, poi, le conversazioni tra Domenico “Mico” Sacco (titolare dell’Ecoloda, azienda debitamente autorizzata all’esercizio nel settore rifiuti) e Angelo Romanello (insieme a Bova, capo dell’intera gang) : «Ora tu mi aspetti, Mico, altrimenti stasera ci ammazziamo, eh! Te lo dico chiaro!», è la minaccia di Romanello. «Ma… (bestemmia) …ma se da ieri sera ho preso impegni!», replica il titolare dell’Ecoloda, sentendosi controbattere da Angelo Romanello: «Non me ne fotte un cazzo! Non me ne fotte un cazzo! Va bene?». «Era un vero e proprio “sistema” criminale», ha tagliato corto in conferenza stampa il procuratore distrettuale catanzarese Gratteri, rimarcando come simili blitz delle forze dell’ordine consentano però un «recupero di credibilità» per la magistratura, in particolare. «Nei pressi di queste due discariche abusive c’erano case, corsi d’acqua, colture diverse, frutteti.
Siamo davanti a una “Terra dei fuochi” calabrese? Forse no, alla luce di quanto precedentemente accaduto in Campania; ma l’inchiesta è decisamente importante. Sono stati smaltiti anche rilevanti quantità di rifiuti ospedalieri, e questo ci preoccupa molto», ha aggiunto Nicola Gratteri.

Ultimo aggiornamento: Venerdì 6 Dicembre 2019, 20:35
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