Giuseppe e Tullio, uccisi a Ercolano. Il gip: «Non potevano avere scampo». Palumbo resta in carcere

Undici colpi di pistola: l'autotrasportatore sotto accusa "avvezzo all'uso delle armi"

Giuseppe e Tullio, uccisi a Ercolano. Il gip: «Non potevano avere scampo». Palumbo resta in carcere

Undici colpi di pistola, dall'alto verso il basso, a distanza ravvicinata, con una precisione millimetrica. Undici colpi, contro una Fiat Panda in movimento ma non in fuga. Undici colpi per un duplice omicidio, realizzato con fredda determinazione, nella notte tra il 28 e il 29 ottobre, alla periferia di Ercolano. Vincenzo Palumbo, 53 anni, autotrasportatore, resta in carcere. È stato lui a fare fuoco. E su questo nessun dubbio. Il giudice dice che i due ragazzi, Giuseppe Fusella, 26 anni, e Tullio Pagliaro, 27,  di Portici, «non potevano avere scampo»: ridotta la velocità della vettura, ridotta la distanza dell'auto su cui si trovavano, ridotta la possibilità di errore, considerata la raffica «di colpi di arma da fuoco esplosa da Palumbo, soggetto avvezzo all'uso delle armi in quanto cacciatore e titolare di regolare porto d'armi».

Una notte d'inferno. Palumbo, accusato di duplice omicidio volontario, era in carcere e  lì resta, a maggior ragione ora dopo l'interrogatorio di convalida e l'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Napoli Carla Sarno. Ha ammazzato sul colpo  perché dice di averli scambiati per ladri. Non lo erano: Pagliaro lavorava nell’attività di famiglia, Fusella stava per laurearsi in Scienza Motorie.  «Non potevano avere scampo». E non l'hanno avuto. Uccisi all'istante sotto una raffica di colpi. Undici.

 

La chiamata al 112 26 minuti dopo gli spari

«Ha sparato undici colpi verso la Panda, che era in moto e si stava allontanando, dal balcone del suo appartamento che è sopraelevato dalla strada di 2-3 metri, dall'alto verso il basso e puntando verso l'autovettura»: la visione delle immagini dei sistemi di videosorveglianza eliminerebbe gli ultimi dubbi sulla dinamica della tragedia. Gli eventi possono anche seguire traiettorie balistiche infallibili quando il caso si veste a lutto, estrae la pistola dalla fondina e fa fuoco con precisione. Nessuna possibilità di sfuggire alla morte: Palumbo, oltre alla Beretta calibro 40, possedeva anche di due fucili da caccia. «Avvezzo all'uso delle armi...». I video collocano il duplice omicidio tra le 00.25.49 e le 00.28.15 di venerdì scorso. La chiamata al 112 parte esattamente 26 minuti dopo gli spari. A chiamare i carabinieri, lo stesso Palumbo.

La difesa: spari al buio, i due scambiati per ladri

«Ho sparato, ma al buio. Pensavo fossero ladri». La tesi dell'accusato non è bastata per allontanare da sé accuse e detenzione in cella. Per due ore l'indagato è stato ascoltato in carcere a Poggioreale, alla presenza dell'avvocato dell'indagato Fioravanti De Rosa e dei magistrati che seguono in caso (sostituto procuratore Varone, procuratore aggiunto Filippelli). E per due ore ha raccontato la sua verità. «Non vi era nessuna volontà da parte del mio assistito di determinare questa tragedia. Adesso valuteremo il da farsi anche perché dobbiamo acquisire degli atti e poi faremo ricorso al Tribunale del Riesame», ha annunciato l'avvocato De Rosa. «A tutti vorrei ricordare - ha aggiunto - che anche Vincenzo Palumbo è un padre e ha una famiglia: quando si è reso conto che le vittime erano bravi ragazzi, è stato colto da una grave crisi interiore e oggi se ne sono resi conto anche il giudice e i pm. Il mio assistito, sostanzialmente, ha confermato le dichiarazioni rese dinanzi agli inquirenti nella prima fase nella caserma dei Carabinieri di Torre del Greco». Il giudice non ha convalidato il fermo: ha ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione del reato ma non quello di fuga. Per questo ha emesso ordinanza di custodia cautelare in carcere. Domani la nomina dei periti per l'esame autoptico, in programma mercoledì 3 novembre, dalle 16, nell'ospedale Secondo Policlinico di Napoli. Poi le salme, attualmente sottoposte a sequestro, saranno restituite alle rispettive famiglie. I funerali potrebbero tenersi quindi giovedì 4 novembre a Portici, comune alle porte di Napoli nel quale entrambi risiedevano. 

Il dolore delle famiglie: «Inaudita ferocia»

Attesa per la verità. E dolore. I familiari dei due ragazzi, attraverso il loro legale, Maurizio Capozzo, esprimono «gratitudine e rispetto» agli inquirenti per il «grande lavoro svolto». Soprattutto, parlano di un crimine compiuto con «ferocia inaudita che non ha spiegazioni e che non merita commenti». I magistrati «hanno manifestato grande umanità e rispetto verso il nostro dolore. Ci affidiamo completamente a loro per fare luce su questa tragedia che ci ha distrutto la vita». Per ora la certezza è che sulla vicenda «sarà fatta giustizia». Assistiti dal legale, anche i familiari di Tullio (la madre, il padre, la sorella insieme con lo zio) sono stati lungamente ascoltati dai carabinieri, in caserma, a Ercolano. Uno degli aspetti ancora da chiarire è il motivo per cui i due amici si trovassero a quell'ora in via Marsiglia, località San Vito di Ercolano, zona particolarmente isolata alle falde del Vesuvio. «L'ipotesi più accreditata è che stessero andando a incontrare degli amici che abitano in zona, ma si sono persi», spiega l'avvocato.

Una circostanza fatale. 

Lo striscione dei tifosi: due figli di questa città

A Portici, città natale dei due giovani, è stato affisso dagli ultras della squadra di calcio uno striscione con la scritta 'Giustizia e solidarietà per due figli di questa città'. Il sindaco, Vincenzo Cuomo, ha deposto fiori davanti allo striscione. Il dolore non si attenua. E resta, come lo sconcerto per una morte inaudita e assurda. 


Ultimo aggiornamento: Lunedì 1 Novembre 2021, 21:24
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