Giuseppe De Rita, il presidente Censis: «L'Italia è ferma, ma crescerà. Ai giovani dico: restate qui, ci saranno opportunità»

Come sosteneva Freud, dice il sociologo 90enne, siamo solo in latenza

Giuseppe De Rita, il presidente Censis: «L'Italia è ferma, ma crescerà. Ai giovani dico: restate qui, ci saranno opportunità»

di Mario Fabbroni

«L'Italia? Al momento non va né avanti né indietro. Ma crescerà».
Oramai non ha più dubbi Giuseppe De Rita, sociologo, 90 anni compiuti la scorsa estate, presidente del Censis. Dopo 60 primavere trascorse a osservare vizi privati e pubbliche virtù della popolazione che vive e lavora in lungo e in largo per lo Stivale, vede un Paese sostanzialmente fermo. Che deve ancora crescere.


Che Italia sarà, allora?
«Non siamo mai stati un popolo che fa la rivoluzione, i mutamenti repentini non piacciono agli italiani. E le prospettive ancora non si vedono».


Con zero prospettive non c'è molto da stare allegri...
«Sa a cosa paragono l'Italia? A una betoniera. Continua a girare ma lentamente, senza strappi. Ma produce il necessario per andare avanti e aspettare il momento buono».


Beh, la solita storia: la colpa è di tutti e di nessuno se le cose non vanno così bene?
«La colpa è soprattutto di una certa politica, che ha smesso da molto tempo di intervenire seriamente sulle crisi. Oggi si fanno solo battaglie di opinione, nessuno vuole sporcarsi le mani con i problemi autentici promettendo di risolverli definitivamente. Nel tempo abbiamo avuto Berlusconi, Renzi, Grillo: tutti frutto di ondate di opinione».


E Giorgia Meloni?
«Lei mostra sagacia, ha capito che non deve impantanarsi nello scrivere un velleitario Piano per l'Italia quanto risolvere le questioni più urgenti. Specie quelle dell'economia».


Insomma deve pensare a far funzionare meglio la società italiana?
«Esatto. L'Italia va semplicemente accompagnata nell'uscita dall'attuale latenza. Quella che Freud, molto opportunamente, paragona a un essere umano tra gli 8 e di 11 anni d'età: non è un bambino ma neppure un adolescente con tutte le sue pulsioni. Troppo piccolo per avere ambizioni future oppure grandi desideri o grandi paure, perché si viene ancora coperti dagli adulti. Una sorta di stato di sospensione, fisiologico che - come per l'appunto sosteneva Freud - bisogna solo avere il coraggio di lasciar passare».


Eppure siamo appena usciti (forse) da una crisi pandemica: occasione persa per farne un Paese migliore?
«La pandemia da Covid non è stata una vera crisi. Ha solo prodotto un grande spavento individuale, perché ognuno ha avuto paura di morire da solo in un ospedale. Cioè non ha provocato, lasciatemelo dire, una reazione di popolo».


Cosa intende?
«Che per dar vita a cambiamenti sociali autentici serve che scocchi la scintilla collettiva. La ricostruzione del Paese dopo gli Anni 50, ad esempio, è stata una fase fondamentale: bisogna ringraziare i vari Brambilla e gli emigranti se sono arrivati il miracolo economico e perfino la società strutturata come oggi la conosciamo e analizziamo.

Non ha funzionato invece la Cassa del Mezzogiorno: pur suscitando interesse perché era un piano di sviluppo, la Casmez ha avuto migliaia di miliardi a disposizione ma il risultato è stato scarso perché le masse non hanno provato attrazione. Stessa cosa accaduta oggi, con il Pnrr».


In che senso?
«Il Piano nazionale di ripresa e resilienza era stato presentato come la svolta per un futuro digitale ed ecologico, invece non ha mobilitato le folle».


Non è un Paese per giovani quello che non ha un'idea di futuro.
«Invece ai giovani consiglierei di non fuggire dall'Italia. Sono più preparati di tanti anni fa, conoscono le lingue straniere ma non è detto che solo all'estero possano fare carriera. Paradossalmente proprio un'Italia in latenza può offrire diverse opportunità, basta impegnarsi per coglierle».


Ma non ha appena detto che la classe politica non sa più fare la vera politica? E allora chi sposta la macchina Italia dal parcheggio dove è ferma?


«L'essere umano che ha un'età tra gli 8 e gli 11 anni si trova in uno stato di latenza ma non è indifferente. All'improvviso viene attratto dal sesso, si innamora, trova le energie che pensa gli servano a cambiare il mondo. Ecco, l'Italia non resterà bambina per sempre ma, nella sua lenta crescita, ha bisogno di regole certe. Esattamente come avviene in una famiglia perbene: servono l'orario di pranzo e cena, limiti da non oltrepassare, impegno nello studio, magari evitare le cattive compagnie. Il Paese Italia chiede servizi più efficienti e una dimensione pubblica funzionante. Sarebbe già tanto...».

La scheda: l'uomo che studia vizi e virtù dello Stivale

 

Giuseppe De Rita nasce a Roma nel 1932. E' cresciuto nel quartiere San Giovanni, frequenta il Liceo Classico presso l'Istituto Massimiliano Massimo dei Padri Gesuiti. A 22 anni si laurea in Giurisprudenza. Dal 1955 al 1963 è funzionario della Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno. Nel 1964 è tra i fondatori del Censis (Centro studi investimenti sociali), di cui è stato consigliere delegato per dieci anni e poi segretario generale dal 1974, diventandone, infine, Presidente nel 2007. A partire dal 1967, le attività di ricerca e gli spunti di analisi dell'istituto vengono condensati nel Rapporto sulla situazione Sociale del Paese. È stato presidente del Cnel (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro) dal 1989 al 2000. È membro della Fondazione Italia USA. Contribuì a fondare, nel 1991 l'Osservatorio permanente sui giovani e l'alcool. Svolge intensa attività di pubblicista, è editorialista del Corriere della Sera. Nel 2004, l'università Iulm gli ha conferito la laurea honoris causa in Scienze della comunicazione.


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Ultimo aggiornamento: Venerdì 13 Gennaio 2023, 18:36
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