Francesca Peirotti, la Carola Rackete italiana: «Io condannata per dare l'esempio, ma non parlate di eroine»

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di Simone Pierini
«Io condannata per dare l'esempio, ma non parlate di eroine dimenticando le vere vittime». Così Francesca Peirotti all'Adnkronos, colei che viene definita la Carola Rackete italiana. Originaria di Cuneo, fu protagonista di un caso che è stato paragonato a quello della Sea Watch dei giorni scorsi a Lampedusa. Anche lei 31enne all'epoca dei fatti, l'8 novembre 2016, venne condannata dalla Corte d'Appello di Aix En Provence a sei mesi di carcere con la sospensione condizionale della pena per aver aiutato otto migranti ad attraversare il confine da Ventimiglia verso Mentone. «Mi spiace per la capitana della Sea Watch, ho letto cose molto cattive», aggiunge. «Non ci siamo solamente io e Carola, in tanti aiutano chi arriva dal mare», spiega la Peirotti che dichiara di non voler chiedere scusa perché «ci sono leggi non a misura d'uomo»

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«Ho letto che qualcuno ha paragonato il mio caso a quello di Carola Rackete, in realtà si tratta di due vicende molto diverse sebbene entrambe legate al fenomeno dell'immigrazione: la Sea Watch fa salvataggi in mare, io aiutavo delle persone ad andare dove volevano, senza un'organizzazione alle spalle. E, comunque, è orribile che venga fatto un gioco politico su vite umane. La capitana ha pensato in primis a salvarle, spero venga assolta totalmente», spiega Francesca Peirotti all'Adnkronos. La giovane, redisente a Marsiglia si dice dispiaciuta «per quello che è accaduto alla capitana, credo non sia stato facile per lei. Innanzitutto comandare una nave non credo sia facilissimo, aveva, quindi una forte responsabilità, e poi tutta quella tensione mediatica addosso - aggiunge - inoltre, ho letto cose anche molto cattive, per questo mi auguro abbia avuto vicino persone che l'abbiamo supportata e reso questo momento un pò meno terribile».



La speranza di Francesca Peirottti è che Carola Rackete venga assolta. «È la prima volta che la Sea Watch non rispetta l'ordine di non oltrepassare, inoltre, nel decreto sicurezza bis mi pare ci voglia la flagranza, in questo caso non mi pare ci sia, quindi spero venga assolta totalmente». Il suo caso, però, si è concluso diversamente. «Sulla Sea Watch erano puntati gli occhi di tutta Italia e molte altre parti d'Europa - osserva - nel mio, per scelta, ho cercato di non mediatizzare troppo la vicenda perché altrimenti si rischia di decentrare il problema, si parla dell'eroina europea che alla fine non fa nulla di eccezionale e si dimentica che le vere vittime sono altre, in questo caso quelle 42 persone che sono rimaste tutto quel tempo sulla barca senza forse neppure ben capire, almeno all'inizio, cosa stava succedendo».

Alla domanda se rifarebbe ciò che ha fatto ammette di non sentirsi in dovere «di chiedere scusa nè di dire 'non ho rispettato la legge' perché ci sono leggi che non sono a misura d'uomo. Penso la mia condanna sia stata dettata dalla necessità di dare un esempio nel caso a qualcuno venisse in mente di fare altrettanto. Ora abbiamo fatto ricorso in Cassazione e attendiamo notizie in merito. Poi se sarà necessario andremo alla Corte Europea», ribadisce in conclusione sottolineando: «Comunque non siamo le sole che si spendono per aiutare chi arriva , sono tantissime le persone che lo fanno, fortunatamente non tutte vengono perseguite dalla legge e finiscono sui giornali»
Ultimo aggiornamento: Martedì 2 Luglio 2019, 21:14
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