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«Occorre prepararsi alle inevitabili conseguenze. I fondamentali? Protezioni, sanificazione, tamponi. E la capacità di reazione immediata che abbiamo messo a punto», continua. «Il rischio zero non esiste, specialmente in situazioni del genere. Per agire occorre sapere quanti casi si verificano ogni giorno, e dove si distribuiscono. Ora che andiamo incontro a una riapertura caotica dobbiamo essere a maggior ragione preparati». La riapertura, spiega, «comporta un rischio di ripresa localizzata del fenomeno, se non addirittura un interessamento di aree più vaste». «Le mascherine - sottolinea quindi -, se indossate da tutti, fanno effetto, lo posso assicurare. Noi abbiamo documentato casi di persone in ospedale, poi risultate positive, che avevano indossato la mascherina, e non si è infettato nessuno. Abbiamo sempre imposto la protezione a tutti, secondo il principio di precauzione».
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«I risultati - aggiunge su sanificazioni e distanziamento sociale - si ottengono applicando norme tutto sommato abbastanza semplici.
Allo stesso tempo si deve incrementare la capacità di fare tamponi, perché solo attraverso i tamponi riesci poi a capire chi è infetto e chi no, allo stesso tempo occorre implementare misure simili a quelle viste a Vò». «Noi - ricorda - la ricetta per spegnere i focolai ce l'abbiamo, e l'abbiamo messa in pratica: si tratta di circoscrivere rapidamente l'area, fare tamponi a tutti subito, isolare i positivi, ripetere l'operazione dopo 7-8 giorni per agguantare i casi che dovessero essere sfuggiti alla prima osservazione. Chiudi, e il cluster finisce. Ma bisogna essere preparati, avere la capacità di fare esami. Stesso discorso vale per le fabbriche».
Ultimo aggiornamento: Lunedì 20 Aprile 2020, 10:24
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