La Fase 2, tutti la vogliono, tutti la cercano, forse è arrivata. Ma che paura ci fa.

Tutti la vogliono, tutti la cercano, forse è arrivata. La fase 2. Ma che paura ci fa.

di Boris Sollazzo
Fase due. Ne ha parlato Renzi per primo, come sempre fuori tempo, per il comparto industriale. Salvini forse voleva la fase una e trina quando chiedeva la riapertura delle chiese. I giornalisti chiedono a Locatelli e Brusaferro previsioni su quali mestieri, età, generi potranno uscire. Finirà che usciremo a targhe alterne: il lunedì, mercoledì e venerdì chi è nato negli anni dispari, martedì, giovedì, sabato chi è nato negli anni pari, domenica tutti a casa che Virginia Raggi sente la mancanza delle sue domeniche ecologiche creative.

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Ma confessiamocelo, della fase due abbiamo anche paura. Dopo settimane chiusi in casa, abbiamo trovato un equilibrio tra il rimanere in tuta, lo scoprire che in fondo quelli che millantavano di essere la tua famiglia non erano poi così male e la scoperta di universi sconosciuti come la cucina, la lavatrice e il Mocio Vileda. Cosa succederà quando torneremo a guardarci in faccia? Sapremo ancora ridere con un estraneo, i nostri bambini giocheranno tra loro, torneremo a divertirci come un tempo? I colpi di fulmine si realizzeranno solo se faremo salire le nostre conquiste a guardare la nostra collezione di tamponi negativi e test sierologici completi?

Ci sono diverse cose che mi inquietano di un (anche parziale) ritorno alla normalità. Almeno sei.

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1. La macchina. Dove diavolo avremo mai parcheggiato? Dopo sei settimane molti di noi passeranno il primo giorno di parziale libertà a premere i tasti dei telecomandi dell'auto, a cercare una luce e un suono di risposta, a urlare in lacrime il nome del modello del proprio veicolo, a fermare gli estranei (a un metro e ottanta di distanza ovviamente), dicendo loro il codice alfanumerico della propria targa e il colore della carrozzeria metallizzata, sperando che l'abbiano vista. Il 50% la troveranno a tarda notte, il 30% ne ruberanno una, il 15% tornerà in quarantena simulando un eccesso di prudenza, il 5% ne comprerà un'altra.

2. Le vacanze. Abbiamo passato mesi a immaginare come riposarci. Come e dove andare per trovare uno spazio di serenità, di relax. Ora, anche se non abbiamo il coraggio di confessarcelo, ne avremmo ancora più bisogno. Metà di noi però è terrorizzata dal ritorno nel posto di lavoro, con capi affamati che pretenderanno ritmi selvaggi e già avranno previsto turni straordinari di sabato e domenica e l'affitto ad agosto di una colonia estiva in Molise dove poter continuare a lavorare tutti insieme, ma senza cravatta e tailleur. E chi invece avrà diritto comunque alle proprie vacanze (la bergamasca Kiko ha pagato stipendio pieno ai suoi dipendenti, ben 10.000, non scalando un giorno di ferie dalle loro buste paga), dove andrà? In stabilimenti in cui un metro e ottanta è al massimo la statura del bagnino, non certo la distanza dagli altri bagnanti? In baite di montagna o stazioni sciistiche dove si sta più stretti che sulla metro A? In isole sperdute in cui in caso di ritorno del picco ci si ritroverebbe come Tom Hanks in Cast Away? Già mi vedo a far grigliate in balcone da solo e chiedere spazio a mio figlio di un anno nella sua piscinetta.

3. Le coccole. Vero, vi ho parlato di come sono stato additato, isolato, stigmatizzato da poveri ignoranti. Però la colomba di Francesca e Francesco, recapitata il sabato di Pasqua che mi ha fatto piangere come un vitello, il tiramisù di Valeria del quarto piano (tutti e due con bigliettino a forma di cuore), i messaggi di un bravo collega come Simone, che sta al secondo, e i suoi inviti per un caffé, la pastiera e la pizza pasquale di Antonio compagno di un lavoro che ho lasciato e di fede partenopea, il lievito fresco spedito dalla famiglia di Radio Rock, le spese che mi ha fatto mio fratello Emilio, i messaggi gentili del mio medico di base, tanto bravo quanto burbero, il ramo d'ulivo che Alessio ha portato a mia moglie perché una Pasqua tra credenti si esprime anche con un arbusto portato in tempi di quarantena da un punto all'altro della città, chi me li ridarà? Sapremo ritrovare questo senso comune della solidarietà, questa capacità di fare rete? I volontari che spuntano ovunque - anche perché possono girare indisturbati per le nostre città - sapranno essere una risorsa anche in tempi di "pace"? Non smettiamo di coccolarci, non smettiamo di essere orgogliosi di un paese in cui siamo contenti di stare, diventiamo cittadini degni di tal nome anche durante la normalità. Perché sotto Macron, Merkel, Trump, Sanchez e Orban chi di noi preferirebbe starci? - (Segue -)

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Ultimo aggiornamento: Lunedì 13 Aprile 2020, 16:49
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