Davide Astori morto, il parere dell'esperto: perché è morto nel sonno

Davide Astori morto, il parere dell'esperto: perché è morto nel sonno

di Carla Massi
Di visite mediche Davide Astori deve averne fatte un numero infinito. È stato tesserato dal Milan nel 2001, quando aveva 14 anni. E prima ancora giocava in una squadra nel Bergamasco. Elettrocardiogrammi, spirometrie, prove da sforzo, test per quasi tutta la vita. 

Perché la morte nel sonno?
«Le risposte sono nell'autopsia e negli esami sui campioni di sangue. Il dolore, la coscienza e lo choc ora non mi permettono di azzardare ipotesi», risponde secco Maurizio Casasco presidente della Società italiana medici sportivi e, negli anni Novanta, direttore sportivo della Fiorentina.

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Il sistema cardio-vascolare e quello respiratorio sono i principali responsabili dei decessi notturni, vero?
«I controlli riescono ad abbassare molto il rischio. Anche ad individuare i possibili danni in una fase iniziale. Ma dobbiamo renderci conto che l'imprevisto esiste».
 
 


Vuol dire che anche una perfetta macchina umana può portare all'arresto cardiaco?
«Dobbiamo parlare di caducità umana. Anche la macchina perfetta può fermarsi in assenza di patologie diagnosticate o condizioni particolarmente a rischio»

Ci sono patologie che possono sfuggire anche in situazioni come questa? Magari genetiche?
«La risposta è solo nell'autopsia. Sportivi di questo livello vengono seguiti e testati con una tale regolarità che le anomalie sono subito intercettate. Anche quelle genetiche»


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Sono circa cinquanta i geni che sono associati alla morte improvvisa giovanile, potrebbe essere uno di questi?
«Dagli esami avremo ogni dettaglio».

In questo caso lo sportivo è deceduto nel sonno e non mentre era in campo sotto sforzo. Si ipotizzano cause diverse?
«Le ipotesi ora non possiamo farle per rispettare la tragicità della situazione e il lavoro medico legale. Ma certo è che si valuterà anche questa differenza di condizione rispetto a tutti gli altri casi accaduti degli ultimi anni»

Si può pensare anche ad un'infiammazione del cuore come la miocardite?
«In questo momento le sto pensando tutte. E mi rendo conto di quanto sia importante rafforzare, per gli atleti di domani, gli screening di base. Ancora un 20-30% dei giovanissimi che fanno sport non viene visitato come si deve».

Torniamo allo sport, la vita in perenne allenamento non protegge da eventuali patologie cardiache?
«Dobbiamo pensare di dividere l'attività sportiva dal decesso. Questo è il primo passo per capire che dobbiamo fare i conti con l'imprevedibile. Tutto, in un paziente, risulta assolutamente in ordine ma, il giorno dopo, potremmo comunque trovarci a fronteggiare una situazione drammatica».
 
 

Ultimo aggiornamento: Lunedì 5 Marzo 2018, 09:49
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