Coronavirus, il paziente 1 Mattia: «Sono arrivato a un passo dalla morte e sono risorto»

Il paziente 1 Mattia: «Sono arrivato a un passo dalla morte e sono risorto»
Lo scorso 21 febbraio è stato lui il primo a finire in ospedale ufficialmente per coronavirus: è stato il 'paziente 1' di Codogno, atleta e runner, che per settimane ha lottato per la sua sopravvivenza nel reparto di terapia intensiva del Policlinico di Pavia. Ora Mattia Maestri sta meglio ed è stato intervistato da Repubblica: «Il mio paziente zero resta un mistero. Da mesi non ero andato all'estero. Sempre la stessa vita: il lavoro a Castelpusterlengo e gli amici tra Codogno e il Lodigiano», ha raccontato.

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«Quando stai per morire - racconta il 38enne - non puoi razionalmente resistere, penso però che l'imminente arrivo di Giulia abbia moltiplicato le mie energie fisiche, non potevo andare via mentre lei stava arrivando». A due mesi esatti dalla scoperta della sua positività Mattia non si è ancora completamente ripreso, spesso è costretto a distendersi per riposare. Spiega però di accettare oggi di parlare «perché il mio caso può aiutare gli infettati a non mollare, i medici a continuare in un'impresa che rimette al centro il ruolo della scienza, i politici ad assumere decisioni coerenti con valori che pongano la vita sempre al primo posto». 


«Nel mio coma sognavo l'anticamera della morte. Ora davanti vedo il sole», spiega Mattia. «Questi due mesi sono stati sconvolgenti, molto più che inimmaginabili, altro che un film. All'improvviso mi sono ammalato, sono arrivato ad un passo dalla morte e sono risorto. Sono rimaste contagiate e sono guarite mia moglie e mia mamma. Il virus sconosciuto ha ucciso mio padre. È nata infine Giulia, la nostra prima figlia. Ho imparato a resistere e a credere nella differenza tra fiducia e utopia, a considerare essenziale ogni istante di normalità. La vita e la morte, senza offrirci l'opportunità di percepirlo, ogni giorno si sfiorano in silenzio attorno a noi». 



«I medici - osserva Mattia - mi hanno detto che da gennaio, non solo in Lombardia, erano esplose polmoniti incurabili, tra gli anziani era una strage, ma nessuno credeva che il coronavirus, fosse già arrivato in Europa.
Con me, l'età ha fatto la differenza». E riflette: «Il 20 febbraio il Covid - 19 ufficialmente in Europa non aveva contagiato nessuno. Io sono ancora giovane e sportivo, eppure ero in fin di vita. Questa anomalia ha permesso di trovarlo e la scoperta non ha salvato solo me. Da quel momento ha permesso di diagnosticare il virus in migliaia di persone. C'è stato il tempo di curare in sacco di gente, di capire perché in tanti stavano già soffrendo». 

Ultimo aggiornamento: Martedì 21 Aprile 2020, 12:04
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