Coronavirus, il racconto dalla quarantena: «Wuhan in isolamento totale». Il caso choc del 16enne disabile

Coronavirus, il racconto dalla quarantena: «Wuhan in isolamento totale». Il caso choc del 16enne disabile
Un infermiere italiano, Francesco Barbero, e un medico cinese, Xiaowei Yan, hanno raccontato il esclusiva per Medical Facts del virologo Roberto Burioni la loro esperienza di vita sospesa alla Cecchignola, in quarantena per il coronavirus: quattordici giorni di isolamento «poi allungati a 17 per essere sicuri di non far correre alcun rischio al nostro Paese», l'Italia.

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I due nel loro lungo racconto sottolineano l'importanza della misura di isolamento e dei «tanti test, dai fastidiosissimi tamponi rino-faringei ai prelievi di sangue». «Una precauzione dovuta» per contrastare il nuovo coronavirus e il rischio di diffusione di Covid-19. «Da ormai due settimane siamo ospiti delle Forze Armate, sottoposti alla custodia e l'assistenza del personale del Policlinico militare del Celio. Con noi, gli altri 62 connazionali che hanno preferito lasciarsi alle spalle quella vita sospesa, fatta di precauzioni e incertezze», le loro parole.

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Barbero è un infermiere di area critica, Yan un medico d'emergenza: «Ora ci avviamo al termine della nostra quarantena - spiegano - 14 giorni poi allungati a 17, per essere sicuri di non far correre alcun rischio al nostro Paese. E tanti test, dai fastidiosissimi tamponi rino-faringei ai prelievi di sangue». «Una precauzione dovuta - sottolineano - per un virus, e noi ne siamo testimoni, che si è diffuso invisibile tra la gente della nostra città, causando il collasso del mondo che conoscevamo, almeno in Cina».
«CLINICHE DELLA FEBBRE E CONTROLLI, WUHAN ISOLATA» Cittadini bloccati in casa, la distribuzione del 'cestino di viveri' dall'amministratore del condominio, le foto del termometro e le cliniche della febbre. Wuhan è la città cinese nell'occhio del ciclone coronavirus, hanno raccontato i due sanitari a Medical Facts. Da giorni i due sono in quarantena a Roma, ma hanno notizie aggiornate da Wuhan. «Non solo da parenti e amici: sono circa una quindicina gli italiani che hanno deciso di restare e che aspettano con fiducia il ritorno alla normalità, sebbene ancora prigionieri tra le mura di casa».

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«La nuova leadership locale, composta da due esperti in pubblica sicurezza, fedelissimi al presidente Xi, ha di fatto irrigidito le condizioni dell'isolamento - raccontano - se prima un solo componente famigliare poteva uscire di casa per provviste ogni tre giorni, ora non viene concesso neanche di affacciarsi dal cancello. Per mettersi ai fornelli occorre attendere l'arrivo di un 'cestino viveri' fornito dall'amministratore del condominio, e almeno una volta al giorno occorre mandare una foto del termometro con la propria temperatura. Chiunque abbia febbre o presenti i sintomi del virus viene portato in centri di raccolta organizzati in palazzetti sportivi, scuole e università, mentre gli hotel vengono riservati per casi sospetti e contatti». 



Tutte misure obbligatorie, «talvolta portate a termine con forza: il drammatico caso di una famiglia spezzata dalle misure d'isolamento è costata la vita al figlio disabile di 16 anni, morto di stenti dopo 6 giorni di abbandono. Le cliniche della febbre - continuano i due operatori sanitari - rimangono aperte, anche se ormai sono pochissimi i casi che passano per la loro porta. Questo sistema di filtri ha consentito la parziale riapertura 'virus-free' delle tre principali strutture sanitarie cittadine - il Renmin, il Tongji e l'Union hospital - almeno per le urgenze non differibili. È la seconda volta che ci provano, e in teoria altri 12 ospedali si aggiungeranno entro il prossimo fine settimana».

Occorrerà fare i conti con il crescente numero di medici, infermieri e operatori rimasti contagiati. «Non abbiamo mai mancato di ricordare delle carenze di protezioni per il personale sanitario, delle mascherine fai-da-te, delle tute protettive improvvisate. Sono oltre 1.700 gli operatori sanitari colpiti dal coronavirus che hanno già abbandonato le corsie e purtroppo anche tra loro vi sono vittime», sottolineano. Nonostante l'isolamento, «il metabolismo urbano non si è mai del tutto arrestato: i treni della metro si muovono nel sottosuolo per trasportare materiale sanitario, scorte di cibo e volontari; i netturbini continuano a presidiare silenziosamente strade e marciapiedi; i centri servizi per la comunità non hanno mai abbassato la loro serranda, sebbene la mole di richieste sia tale da vanificare qualsiasi sforzo».



«Solo il giorno che abbiamo lasciato Wuhan siamo riusciti ad allargare il nostro sguardo alle altre aree della città.
I posti di blocco ci sono, almeno durante il giorno e il pullman su cui viaggiavamo, organizzato dalle autorità Cinesi su mandato della nostra Ambasciata, è stato soggetto ai controlli 'di frontierà come tutti gli altri veicoli. In aeroporto, forse 1.000 tra australiani, egiziani e neozelandesi aspettavano con noi in una densissima coda. L'unico punto di controllo della temperatura esistente - ricordano Francesco Barbero e Xiaowei Yan - prevedeva il passaggio sotto una termocamera, accompagnato dalla verifica di un modulo sanitario precedentemente compilato. E dopo i tradizionali controlli di passaporto e sicurezza, la corsa verso l'aereo della nostra Aeronautica Italiana, già pronto alla partenza». 

Ultimo aggiornamento: Martedì 18 Febbraio 2020, 12:05
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