Coronavirus, muore dopo aver supplicato il tampone: «Al telefono gli hanno detto 'Non mandiamo l'ambulanza per un po' di febbre'»
di Silvia Natella
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La sua storia, simile a quella di tanti altri che non hanno accessi privilegiati ai tamponi, è stata raccontata dalla figlia su Facebook e poi è stata ripresa dai giornali. E proprio grazie a questa mobilitazione è scattato il tampone con il successivo ricovero all'ospedale San Carlo di Potenza. I timori erano più che fondati: Palmiro aveva contratto il Covid-19.
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L'uomo aveva la febbre e sintomi compatibili con il coronavirus già dal 13 marzo, ma la figlia Maria ha raccontato di essere riuscita a farlo ricoverare solo il 23 marzo scorso. E purtroppo non nel reparto di terapia intensiva. A nulla erano valse le chiamate alla Guardia medica a al numero verde regionale. «Dalla voce sta bene e non serve fare il tampone perché non presenta sintomi gravi», sarebbe stata la risposta. E ancora: «Non possiamo mandare un’ambulanza e fare un tampone a tutti quelli che ci dicono di avere la febbre…»
Sono tante le storie di medici e sanitari che rischiano la vita ogni giorno, ma davanti all'emergenza sembra legittimo chiedersi se non sarebbe meglio che regioni con un numero di contagi gestibile effettuino tamponi a tappeto. Purtroppo in alcuni casi non si riescono a eseguire neanche con sintomi conclamati per protocolli troppo rigidi. A Palmiro, per esempio, mancava la tosse, ma la figlia racconta che era arrivato ad avere le dita viola a causa della difficoltà a respirare. E così la famiglia sarebbe stata costretta a «minacciare il 118 di chiamare i carabinieri se non fossero intervenuti». Una volta arrivati i soccorsi, Palmiro è dovuto scendere da solo per le scale con una vestaglia e salire nell'ambulanza.
«Mio padre - ha scritto la figlia su Facebook dopo il ricovero - non aveva neanche la tosse... È stata inviata la richiesta per il tampone perché se un povero disgraziato ad alto rischio, che fa il lavoro che fa mio padre girando ovunque e ha la febbre che non aveva da 10 anni chiama il grande sistema sanitario che ci ritroviamo e chiede di fare un tampone per sicurezza viene chiamato 'esagerato'. Viene chiamato ipocondriaco e allarmista che per un po' di febbre scatena l’ira di Dio!!! Gli viene detto al telefono che dalla voce sta bene e non serve fare il tampone perché non presenta sintomi gravi a detta loro e perché - cito testuali parole dette al telefono - “Non possiamo mandare un'ambulanza e fare un tampone a tutti quelli che ci dicono di avere la febbre”».
Il caso di Palmiro ha fatto scoppiare la polemica e in molti si sono chiesti perché politici e personaggi noti avessero accessi privilegiati ai tamponi per molti meno sintomi. È risaputo che è necessario agire nei primi giorni della malattia per scongiurare il peggio. A seguito di questa vicenda, la task force regionale ha deciso di istituire le unità speciali Covid – 19, composte da equipe di medici che hanno il compito di assistere e monitorare sia i pazienti affetti dal virus in isolamento domiciliare, sia i pazienti con sintomatologia respiratoria sospetta in attesa del tampone, sia i familiari di pazienti positivi.
Allo stato attuale, in Basilicata i contagi hanno superato le 200 unità. Prima che Palmiro morisse la figlia ha scritto un post per chiarire tutto e informare chiunque fosse entrato in contatto con suo padre: «Questo post non vuole offendere nessuno, ho un grande rispetto per chi lavora incessantemente per aiutare tutti i malati indipendentemente dalla patologia... capite solo che mio padre poteva essere assistito meglio prima di aggravarsi e che stiamo tutti soffrendo». Palmiro è la vittima più giovane in Basilicata.
Ultimo aggiornamento: Martedì 31 Marzo 2020, 21:00
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