Coronavirus, madre e figlio tornano da un viaggio in Cina: i connazionali li chiudono in casa per dieci giorni

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Tornando dalla Cina, giovedì 13 febbraio, madre e figlio cinese hanno fatto scalo a Berlino e poi a Bologna chiudendo il viaggio in auto per raggiungere Apecchio. Nessuno ha febbre o presenta segni di infezione da coronavirus  ma per volontà dei connazionali che come loro vivono ad Apecchio, da quel giorno sono segregati in casa.

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Lei 40 anni, il figlio 20 sono rientrati da Qingtian, nella provincia di Zhejiang. A 500 chilometri più a Nord c’è Shanghai, città con casi certificati di Covid-19. I due da Bologna raggiungono Apecchio a bordo dell’auto di un collega cinese della donna, lavorano entrambi nella stessa azienda. L’accoglienza non è festosa e madre e figlio vengono obbligati a chiudersi in casa. La donna contatta telefonicamente, la sua consulente di lavoro Anna Grazia Forlucci raccontandole la storia. Così è la stessa commercialista ad avvisare il medico di base, che a sua volta informa l’Asl di Urbino. Alla professionista viene suggerito di consigliare alla donna e al figlio di controllare la febbre 2 volte al giorno ma non presentando alcun sintomo, per loro non c’è obbligo di quarantena. Ma la pressione dei connazionali è forte e i due decidono di sottoporsi volontariamente ai 14 giorni di isolamento. Però come si sa il paese è piccolo e la gente mormora e il silenzio sulla notizia dei due cinesi rientrati da Qingtian è durato poco. Ieri i fatti erano l’argomento principe delle conversazioni tra gli apecchiesi e la vicenda è arrivata anche alle orecchie del sindaco. Vittorio Nicolucci si è fiondato a Urbino dove è riuscito a ottenere un incontro con i medici e dirigente dell’Asl. Attualmente stanno monitorando la famiglia cinese e selezionando i pochi incontri che madre e figlio hanno avuto. Ma la situazione è normale, non c’è sospetto alcuno di patologia.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 24 Febbraio 2020, 12:26
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