Il nostro errore su “baby sitter” e le accuse ingiuste di Chiara Ferragni

Il nostro errore su “baby sitter” e le accuse ingiuste della Ferragni

di Davide Desario

Gentili Chiara Ferragni e Federico Leonardo Lucia (Fedez). Queste righe sono per voi, per i vostri follower e per i nostri lettori. E le ragioni che mi spingono a scriverlo, nonostante ci siano in questo momento problemi più grandi, sono due.
La prima riguarda un articolo che abbiamo pubblicato sul nostro sito internet nei giorni scorsi. Con un titolo sbagliato in cui Fedez, che rimaneva a casa con i bambini mentre Chiara era a Nyc vestita (come ha scritto lei) da Catwoman, veniva definito baby sitter. È stato un errore. Ancor più grave visto che poche settimane prima in redazione ci eravamo promessi di fare più attenzione dopo che non era stato corretto l'articolo di una collaboratrice che lo aveva definito mammo.

 

L'errore è stato commesso da un collega, marito di una manager aziendale, padre di una bambina, che certo non è insensibile al tema. Lo ha commesso probabilmente per disattenzione, forse per fretta, sicuramente senza fare le dovute considerazioni. Ma, credeteci, non c'era alcun pregiudizio sul rapporto donna/uomo, moglie/marito, madre/padre. L'errore è stato corretto, sui nostri social i link sono stati cancellati e sostituiti. Ne era rimasto uno legato ad un altro pezzo e grazie alla segnalazione del vostro ufficio stampa è stato rimosso. Per tutto questo ci scusiamo. Anche perché crediamo sia dovere di chiunque sbagli chiedere scusa. Al punto che da tre anni Leggo, unico caso in Italia, ogni fine anno dedica una pagina per ricordare le proprie notizie sbagliate (che, ahinoi, capitano) e chiedere scusa agli interessati e ai lettori. Un'iniziativa che è stata lodata, con un tweet del 22 dicembre 2020 proprio da Fedez: «Un modo intelligente per combattere le fake news! Che bello».
E qui veniamo alla seconda ragione di questo articolo che però riguarda solo Chiara Ferragni.

Ben 24 ore dopo che il nostro titolo è stato corretto Chiara ha pubblicato su Instagram (26 milioni di follower) una story contro Leggo legando la nostra testata alle parole maschilismo e giornalismo tossico.

E questa è un’accusa inaccettabile che rigettiamo senza se e senza ma. Perché Leggo, oltre a chiedere scusa ogni volta che sbaglia, è da molti anni media partner di “Race for the cure”, la più grande manifestazione per la lotta ai tumori del seno nel mondo. Perché non appena sono diventato direttore ho chiesto a Nancy Brilli, in veste di madrina del Telefono rosa, di avere una rubrica settimanale in prima pagina. Perché sempre in prima pagina abbiamo più rubriche di donne che di uomini. E sul web ne abbiamo una “Sesso&pregiudizio” (curata dalla giornalista Rai Barbara Gubellini) che si occupa proprio del gap di genere. Ma soprattutto perché la redazione tutta (giornaliste e giornalisti, compresi i collaboratori) ha realizzato con professionalità articoli e inchieste sulla violenza sulle donne, sul divario salariale tra uomini e donne, sugli insulti sessisti alle donne, sul dramma del femminicidio, sui problemi delle madri-lavoratrici. E sono tutti comprovabili: su carta e su web. Dunque, gentile Chiara, bastava fare una verifica o confrontarsi prima di lanciare sentenze offensive per tutte le donne e gli uomini che lavorano a Leggo. Offese alle quali sono seguiti insulti da parte di una rappresentanza dei suoi follower (fa riflettere chi chiede rispetto a suon di insulti) e post offensivi di chi ha cavalcato la story a caccia di qualche like. Ma ormai è fatta. Chiedere scusa non è una vergogna ma un gesto di grande maturità.


Ultimo aggiornamento: Giovedì 24 Febbraio 2022, 09:14
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