Addio a Licheri, tentò di salvare Alfredino nel pozzo

Addio a Licheri, tentò di salvare Alfredino nel pozzo

di Giammarco Oberto

Da quel pozzo non è mai veramente uscito. Una parte di lui è rimasta nel buio, a 60 metri di profondità, con Alfredino. «Penso a lui in ogni momento» ha detto nell’ultima intervista, lo scorso giugno, 40 anni dopo la tragedia di Vermicino. Gli hanno offerto premi, medaglie, ha sempre rifiutato: «Ho fallito, come potevo accettare?». Angelo Licheri è morto la scorsa notte nella casa di cura di Nettuno dove viveva da tempo. Aveva 77 anni.

Tutti gli italiani, anche quelli che erano bambini in quella torrida maledetta "quasi" estate del 1981, hanno stampata nella memoria la sua faccia, stravolta, incrostata di fango, mentre i pompieri lo portavano in braccio lontano da quel buco infernale dove un bimbo di sei anni era ormai alle sue ultime ore di vita. Gli avevano detto che non poteva stare nel pozzo per più di venti minuti, a testa in giù.

Lui ci è stato per 45 minuti. Per sette volte ha tentato di afferrarlo, per sette volte Alfredino Rampi gli è scivolato dalle mani. Lo ha preso per un braccio, ma il piccolo polso si è spezzato. Lo ha afferrato per la maglietta, ma si è squarciata. «Non ce l’ho fatta». Distrutto, per sempre.

Non era uno speleologo, Angelo. Lavorava per una tipografia, a Roma. La sera del 10 giugno 1981 era davanti alla tv, come tutta la nazione. E 54 ore dopo ha detto alla moglie che andava a comprare le sigarette. Invece è andato a Vermicino: cercavano persone esili. Lo hanno calato nel pozzo largo 28 centimetri, la notte tra il 12 e il 13. Riuscì a toccare il volto di Alfredino, a pulirlo dal fango. Ma non a portarlo su. «Gli ho mandato un bacio, poi ho chiesto di essere tirato su». Quando riemerse, tutti capirono che era finita.


Ultimo aggiornamento: Martedì 19 Ottobre 2021, 06:00
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