Amatrice, quei cumuli di macerie che fanno ancora paura: "Nulla sarà come prima"

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di Raffaella Troili
dal nostro inviato
AMATRICE Bastasse cancellare dallo sfondo le montagne di macerie, per ripartire. Bastasse una casetta di 30 metri quadri, una sedia dove scambiare due chiacchiere tra sopravvissuti, per far finta che sia un’estate come le altre, i nonni a giocare a carte, i bambini tutti sani e salvi a scherzare sui muretti, le cicale a cantare, nell’aria l’odore dolce della normalità. In troppi mancano all’appello ad Amatrice e in queste sere d’estate, ora che si avvicina la data maledetta, l’anniversario del terremoto che ha strappato ai propri cari 239 persone, la malinconia è incontenibile. Ha gli occhi di quell’uomo che ha perso moglie e figlio e seduto nella sua casetta di legno, fissa il cielo celeste come i suoi occhi e prova a tirare avanti ciondolando con dignità. A pochi metri da lui, nel campo 0, Barbara Lotti resta dietro le tapparelle e si scusa anche. Occhi chiari anche lei, sbucano dalle fessure lucidi, comprensivi, stanchi. In due, tra lei e il marito hanno perso nove parenti: una sorella, nipoti, cugini.

 

«SI STAVA TROPPO BENE» Vivevano nelle case popolari, si ritrovano in casette di pochi metri quadrati, da loro curate nei minimi particolari, tenute come fossero villini di lusso: staccionate lucide, fiori, tanti fiori, a ogni entrata, a terra e pendenti dall’alto. «Qualche fiore ti manda su l’animo», spiega lei, restando nascosta. Va a svegliare il marito, Ernesto Torroni, che in canotta bianca, docilmente racconta che non hanno più paura di niente perché «peggio di questo che può succedere?». Non si piange addosso «andiamo avanti, che dobbiamo fare? Con forza, coraggio, il sacco se non lo riempi sennò va giù...». Però, è arrabbiato perché «niente sarà più come prima. Prima - scandisce - noi stavamo troppo bene». Un anno dopo, la cittadina tanto amata dai romani e distrutta dal terremoto la notte tra il 23 e il 24 agosto 2016 è ancora un cumulo di macerie e polvere. Ogni giorno nella zona rossa si rimuovono tonnellate di detriti, per dare poi alle persone la possibilità di recuperare quel che si può, accompagnate dai vigili del fuoco: stracci che non hanno più valore se non quello - inestimabile - d’esser stati «la roba di mamma», sussurrano gli interessati a chi li scorta. La chiesa, il convento della suore, l’ospedale, l’hotel Roma, l’archetto, il corso, un presepe ridotto a macerie. La ricostruzione per ora è tutta dall’altra parte, lasciandosi alle spalle la zona rossa: ecco il bar Rinascimento, il supermercato, l’area food dove tre dei dieci ristoranti sono aperti, ecco altri villaggi di casette, mentre si lavora senza sosta anche di domenica nel centro commerciale che aprirà il primo settembre. E i padiglioni con le scuole, qui dovrebbe nascere il liceo scientifico a indirizzo sportivo, già sono arrivate una trentina di iscrizioni però la gente si chiede «dove dormiranno, i ragazzi?».

 
 


Una cosa è certa. Amatrice non sarà più la stessa. Come chi è rimasto in vita, che a sentirlo parlare sembra quasi si senta in colpa, per essere ancora qui, per aver lasciato i familiari sotto le macerie. Amatrice a vederla rinascere lentamente dà l’idea che non tornerà più il paesino incantato che era ma un villaggio allargato, il parroco don Savino crede che «in futuro con una costruzione più solida, il problema della zona sismica non ci sarà. Però in questi giorni la gente ha il morale sotto terra, le ferite rimangono, finora c’è stata solo una ripresina ma entro settembre ci si gioca la possibilità di far rimanere le persone ad Amatrice. C’è un futuro? La gente comincia a scappare. L’invito a non farsi schiacciare resta, è un popolo dalla dignità ammirevole».

«HO PERSO TUTTI GLI AMICI» Si guardano intorno gli amatriciani, quelli fissi e quelli stagionali, tra scoramento e fiducia, battaglia di sentimenti che devono vivere quotidianamente e che in questi giorni tra turisti, inaugurazioni, iniziative e viavai di gente si rischia di non cogliere davvero. «Ho la casa antisismica» racconta fiero Attilio Maracci, romano, da dieci anni passa l’estate ad Amatrice. Poi gli si velano gli occhi, anche lui si guarda intorno: «Ho perso tutti gli amici». 

Ultimo aggiornamento: Mercoledì 23 Agosto 2017, 17:45
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