Il tempo delle "serie"

Il tempo delle "serie"

di Marco Mottolese

Cercavo una pepita per il #covidtelling e forse l’ho trovata. Passata la fase acuta della pandemia è sottotraccia che si certifica il cambiamento che va scoperchiato, come accade con gli strani rinvenimenti che dopo una mareggiata appaiono sulla battigia scompigliata.

Il Covid prima ha disboscato e poi nuovamente seminato; frutti sconosciuti stanno maturando all’insaputa di tutti noi. Ne abbiamo parlato; il livello è da inconscio collettivo ma molto sta cambiando, tutto sommato in fretta perché, se da una parte questo periodo appare infinito dall’altra, il tempo “normale”, non sarebbe stato sufficiente a modificare gli atteggiamenti della gente come invece sta avvenendo. La pandemia come acceleratore.

Per capire meglio cosa accade mi pongo in ascolto degli altri, metodo infallibile per carpire i frammenti della novità che si presenta sotto forma di puzzle da ricostruire poiché ognuno di noi ne reca un pezzettino e solo tutti insieme ricomponiamo il quadro. E così, proprio mentre gli ultimi rantoli relativi al devastante impatto decennale dei social – ringalluzziti dalla pandemia - ancora ci giungono alle orecchie e (sebbene sia il momento in cui stanno per essere degradati a perditempo di serie B dopo aver giocato in prima serie per molti anni) realizzo, e questa è la pepita, che un gadget sostitutivo e già popolare è pronto per fornire occasioni di discussione, come un tempo a noi vicino è stato per Facebook o, ahimè, come un tempo ormai lontano accadeva con la lettura .

Mi riferisco alla bulimica fruizione di massa delle cosiddette “serie”, l’immane quantità di audiovisivo che i grandi e geniali speculatori della rete hanno prodotto per rimpinzare di spettacolo le nostre giornate in epoca pandemica e adesso, che tutto sommato potremmo tornare a popolare i cinematografi, evitiamo la magia della sala per stazionare sul piccolo schermo o sui computer e viviamo palesemente ipnotizzati dai nostri divani sui quali i geni alla “Silicon Valley” hanno sparso un collante invisibile che non scade. E così, dopo il monopolio ignorante dei “social”, ora intravedo, con sospetta contemporaneità all’epoca del virus, eruttare le “serie”, le vedo avvolgerci come nuova panacea contro la noia fino a costituire il nuovo humus di colloquio e socializzazione o, talvolta, superficiale approfondimento, più “pulp fiction” che sociologia.

I geniali inventori che sanno come spremere la rete hanno trovato, nella pandemia, una catapulta inattesa che ha dato loro, nel breve tempo, risultati economici inimmaginabili trasferendoci a forza all’interno del boom degli schermi casalinghi a discapito del cinema tradizionale.

Per questo stiamo tutti traslocando nel salotto. Appare evidente che i social, come argomenti di conversazione, hanno fatto il loro tempo; nessuno oggi parlerebbe a tavola di cosa accade in facebook o commenterebbe una foto vista su Instagram - questo accadeva fino a poco tempo fa e non accadrà più - perché quando un prodotto è maturo non necessita più della viralità che lo pone al centro delle conversazioni e accennarne sarebbe un passo indietro, una caduta di stile. Ora ecco le nuove regole: via libera a commentare l’ultima serie che hai divorato e che, come una matrioska, fornisce la stura per porre le “scoperte” di ciascuno in competizione con quelle degli altri.

Stare chiusi in casa, lockdown e post lockdown compreso, ha generato – non certo d’incanto - questa nuova passione popolare indotta dai geni delle multinazionali dell’entertainment che, come sempre, hanno giocato d’anticipo. Oggi il cinema vive in cattività nei piccoli schermi, che siano computer o televisori, aggeggi casalinghi che relegano le sale cinematografiche a un ruolo museale utile solo a fotografare un’epoca al tramonto.

La ricerca di contenuti dei famelici produttori fa sì che i libri di narrativa nascano già con lo spettro della fiction incorporato dentro le pagine. Lo scrittore si trasforma in sceneggiatore, la narrativa si addentra verso nuove strade e chi scrive vede già lo schermo. La macchina poderosa che sottostà all’infaticabile produzione di fiction divora idee come un inarrestabile mostro mitologico. Non è un caso che la presenza in sala di un nuovo film per solo tre giorni (un “format” che subito ha preso piede) venga accompagnata da un aggettivo che fa sorridere: evento. Il film staziona in sala per tre giorni ed è un evento. In realtà a guadagnarci in tutto questo è forse solo il contenitore, quel televisore che solo poco tempo fa per dato per finito.


Ultimo aggiornamento: Lunedì 25 Ottobre 2021, 09:58
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