Smart working sì, ma non per tutti: così i giovani non sbocciano

Smart working sì, ma non per tutti: così i giovani non sbocciano

di Marco Mottolese

Di norma sono disinteressato a ciò che accade nei meandri della rete, non perché non capisca cosa succede lì - è utilissimo aggirarvisi per accarezzare la pancia del paese – ma è come scendere in cantina col rischio di scovare oggetti accantonati e polverosi dei quali non ricordavamo la funzione ma che accendono memoria e nostalgia.

La settimana scorsa, nel precedente pezzo di Covid Telling, ho scritto di “smart working”, formula in voga da tempo in alcuni paesi ma oggi diffusissima anche in Italia per affrontare il lavoro in sicurezza; ne commentavo i lati svantaggiosi, non solo legati al lavoro, ma alla privazione di tutto ciò che significa – nel bene e nel male – non uscire di casa la mattina. Alla fine del pezzo, però, aprivo il sipario su quelli che potranno essere, per me, gli apporti positivi di questa funzione lavorativa, oggi necessaria, che in italiano è denominata – chissà perché - “agile”. Qualche giorno dopo la pubblicazione decido di affrontare i meandri che poco frequento, e scopro spinosi commenti che fanno lampeggiare il fraintendimento che le mie parole avevano promosso.

Da un certo punto di vista, per chi scrive, essere democraticamente commentato - la rete per fortuna lo permette- fa piacere, vuol dire che hai smosso le acque, prodotto discussione. Così mi sono aggirato tra quei punti di vista percependo di aver lanciato un sasso nello stagno ma i cui cerchi concentrici prodotti dal tiro si rendono autonomi da chi scaglia la pietra assumendo vita propria e non recando più traccia dell’input iniziale. Così ho letto molte cose interessanti che però nulla avevano a che vedere con quanto avevo scritto. Per questa ragione ciò che scrivo ora è una sorta di ringraziamento per tutti coloro che hanno contribuito ad affinare il punto di vista costringendomi a tornarci su.

La pandemia, ormai lo sappiamo, sta cambiando definitivamente alcuni lati delle nostre vite; non è pensabile che nel lotto infinito di misure, piccole e grandi, assunte per tutelare la salute dei cittadini, alcune non permangano anche dopo, a virus sconfitto o domato, soprattutto perché, alle misure, sono avvinghiate consolidate dinamiche che reggono la nostra realtà e solo chi osserverà quest’ultima con il piglio dell’innovatore saprà come plasmare a proprio favore (magari lo sta già facendo) anche quelle imposizioni che, per molti, appaiono come scomode sedie di una sala di attesa.

Dunque, ciò che intendevo, parlando di smart working, è che indubbiamente vi sono lati positivi nel lavorare da casa ma che il permanere di questa situazione potrà forse favorire alcuni ma svantaggiare altri.

Nei commenti ho registrato una maggioranza a favore dello “smart” – meno chilometri, meno consumo, più tempo con la famiglia – e questo è ben comprensibile, ma io non mi riferivo a queste indubbie migliorie; temo piuttosto per i giovani, coloro che si affacciano al mondo del lavoro proprio ora e che nello smart working non troveranno ciò che ognuno di noi, all’inizio di un percorso lavorativo, trovò: conoscenze, modalità per farsi apprezzare, apprendimenti continui, carriera, amori, formazione di know-how e di identità; tutto questo non lo si reperisce lavorando da casa e dunque, per alcune fasce di lavoratori, il lavoro non può che essere “andare in ufficio, in fabbrica, al ministero, in banca” solo così sbocceranno alla vita lavorativa e staccandosi dai propri nuclei diventeranno adulti.

Probabilmente, chi ha commentato negativamente il pezzo perché felice del proprio smart working, ha già percorso quell’iter e dunque apprezza questa novità calata per caso; ma io voglio mettermi nei panni di coloro che il lavoro lo affrontano da poco, giovani non ancora gravati di responsabilità famigliari e comunque in un’età che non fa apparire “fatica” ciò che per gli altri lo è e per i quali uscire di casa è comunque festa.

E’ facile essere fraintesi e non sempre i propri ragionamenti sono seguiti fino in fondo. Lo dico perché l’articolo chiudeva con l’ipotesi che, accavallare in casa lavoro e vita quotidiana brucia più energie che uscendone ma produce maggior pensiero e che questo “eccesso” sarà utile per portare a reddito il momento e far nascere nuove formule lavorative e di esistenza che nuovamente andranno incontro a tutte le necessità.


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 26 Gennaio 2022, 13:09
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