Il covid come rito iniziatico?

Il covid come rito iniziatico?

di Marco Mottolese

“Non sono scontento che esista l’uomo, sebbene il suo avvento abbia significato per la terra sconquassi e disastri, lo sapevano bene gli antichi greci”. Ascolto un video in cui Claudio Magris cita Sofocle: “Che cosa è l’uomo?” - è il Coro a porre questa domanda all’inizio della tragedia - avverte il grande scrittore, “l’avvento dell’uomo apre scenari grandi e terribili, è un’eruzione; l’uomo? Creatura che sconquassa”, Magris si assume l’onere di rispondere a Sofocle.

Sfoglio un magazine, intravedo la foto del recente premio Nobel Giorgio Parisi, leggo l’intervista, mi inchiodo su questo passaggio: alla domanda “la Terra finirà?” lui più o meno risponde “no, rischiamo di finire noi e non per colpa del surriscaldamento - l’uomo, in passato, ha già superato questo genere di variazioni - piuttosto temo per la sopravvivenza della civiltà, lo scoppio di guerre per risorse sempre più scarse… L’uomo, certo, sempre lui, sempre noi, al centro del problema e – oggi più che mai- alle prese con qualcosa di inaspettato che non accade certo per la prima volta ma le generazioni passano e dunque, se una difficoltà ha attraversato la terra più di cento anni fa, nessun vivente ne ha fatto esperienza. Tra pochi anni non ci sarà nessuno che avrà un ricordo diretto della seconda guerra mondiale e dell’olocausto, per dire. Ogni cento anni, circa, la terra si affida a sguardi interamente vergini su ciò che è stato. Nessuno, a quel punto, può testimoniare un disastro avvenuto in passato . Dunque è normale che gli uomini “odierni” affrontino una pandemia globale vivendola come ragazzini per la prima volta alle prese con un volante o impauriti nello schioccare il primo bacio, entrambe operazioni complesse se al vaglio della “prima volta” alla quale tutti, prima o poi, dobbiamo sottostare.

Il Covid come rito iniziatico?

Vedo crescere il pessimismo tra intellettuali e scienziati sul futuro dell’umanità dettato probabilmente da un senso di impotenza che nasce, immagino, dall’evidente difficoltà di sconfiggere il virus. Abbiamo la scienza dalla nostra parte ma il virus sembra andare oltre la scienza; sappiamo cosa sia, come agisce, ma non sappiamo dove nasce né come contrastarlo definitivamente affinché non faccia del male e dunque, se scienziati e intellettuali spargono negatività sullo stato dell’arte della terra, un antidoto forse potrebbe esserci: immaginare una convivenza col virus, anche se sotto tutela, anche se da “separati in casa”.

Annetterlo alle nostre vite senza dargli eccessiva confidenza. Diciamocelo, il virus non andrà via, non subito comunque, questo appare chiaro, per cui non dico di provare a “farcelo amico”, perché potrebbe ingenerarsi il rovescio della medaglia, come quei possessori di cani pericolosi che a volte vedono ritorcersi contro di essi l’indole feroce e innata della bestia amata che, pur sembrando rabbonita, un giorno qualsiasi azzanna il padrone. No. Ma se dovremo convivere a lungo con l’invisibile virus dovremo provare a normalizzare le nostre vite.

Non credo siano i “No Vax” l’unico problema della comunità. Chi rifiuta il vaccino costituisce una percentuale bassa della popolazione. Certo - se fossimo tutti vaccinati probabilmente il virus si stancherebbe ancor prima di entrare ed uscire dai nostri corpi senza più produrre esiti eclatanti e potrebbe decidere di vestire i panni di una timida, classica influenza che non può far paura - ma è difficile forzare chiunque a fare ciò che non vuole, anche se per il bene della maggioranza. Concentrare le nostre vite esclusivamente sulla narrazione del Covid - come se a scuola si studiasse solo matematica o solo italiano - potrebbe condurci a disastri collaterali; come dice il premio Nobel Parisi “la guerra è sempre dietro l’angolo, soprattutto di questi tempi” e potrebbe essere innescata proprio dagli squilibri indotti dalla pandemia, dalla distrazione generale verso gli altri fatti del mondo, oppure dalla progressiva sparizione della parola compassione dai nostri vocabolari perché tutti impegnati su di sé e, al più, la propria tribù.

E allora proviamo a spostarci di lato per capire se si vede meglio ciò che sta accadendo; prendiamo le misure ma accettiamo la pericolosità del periodo, viviamo la pandemia come prova alla quale veniamo sottoposti sapendo che ognuno, davanti all’imprevedibile, reagisce a modo suo. Viviamo provando a immaginare il virus sempre tra noi; quando più non lo sarà saremo migliori. Passato e futuro son sempre legati a doppio filo e per vivere il presente non come se fosse un guado, bisogna saper sciogliere quel nodo.


Ultimo aggiornamento: Sabato 20 Novembre 2021, 15:40
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