Tornare a vedere un film al cinema, dopo l'astinenza da Covid: l'emozione sexy del “rito” collettivo

Tornare a vedere un film al cinema, dopo l'astinenza da Covid: l'emozione sexy del “rito” collettivo

Vi è mancato andare al cinema durante la pandemia? C’è un modo per dimenticare il digiuno: andare a vedere l’ultimo film di Woody Allen; sembra creato per il periodo perché questa pellicola non è solo “il più recente film del maestro newyorkese” ma è sofisticato omaggio dello stesso ai più grandi registi della storia del cinema dunque, viva il cinema che riapre .

Entro in sala dopo mesi. Siamo in cinque, due coppie e uno da solo. Sembriamo emozionati, come in un primo giorno di scuola: tutto è come l’anno precedente ma si annusa qualcosa di nuovo, anche se indefinibile. In questo caso il fatto che non si possa portare da bere all’interno della sala (ma il virus si annida nelle bottigliette?). Il distanziamento, previsto in automatico dalla biglietteria, in questo caso è anche ovvio: se in una sala da 60 posti si è in cinque davvero si è al sicuro... Noi happy few ci osserviamo a distanza; percepiamo di avere qualcosa in comune, non solo aver prescelto l’edizione in lingua originale ( i testi che scrive Allen, ascoltati in inglese, e soprattutto detti dai suoi attori, sono lezioni di lingua per ogni livello) ma ci accomuna la passione per il grande schermo e – ma qui forse scherzo - per il rischio.

Leggo che le sale riaperte sono poche così come poche le persone che per ora affrontano il buio della sala . Il virus ha reso tutti un po’ guardinghi e dunque – chissà perché - coraggio da leoni nel sedersi a tavola nei ristoranti già gremiti, paura conigliesca nel varcare la soglia dei cinema. Passerà anche questa, sperando che il lungo stop non abbia paralizzato la voglia di godere di un film seduti fianco a fianco, ipnotizzati dalle immagini del grande schermo.

Un’esperienza sexy, quella della sala, alla quale non potrei rinunciare. Torno a Woody; entrando in sala non sapevo nulla della trama di Rifkin’s Festival e alla prima magia del maestro devo far leva sulla freschezza mentale della persona al mio fianco (che, a mia insaputa, la bottiglietta d’acqua l’aveva infrattata nella tasca interiore del trench) per scoprire che quello squarcio nella storia - e che non afferro del tutto - cambia registro alla trama essendo il vero sottotesto e pretesto dell’intera pellicola. Il film nel film. Non so se Woody Allen abbia riflettuto sul fatto che Rifkin’s Festival sarebbe stata una delle prime pellicole a tornare nelle sale del mondo dopo la pandemia - e che dunque la trama nella trama appaia come subliminale omaggio ai cinefili sparsi nel mondo - fatto sta che entri per vedere un film ma in realtà, tipo indovinello, la pellicola ne propone altri dieci, tutti masterpiece, tutti classici, tutti da indovinare. E’ come se Allen volesse far partecipare i propri spettatori a quel “gioco del cinema” che ci appassionava da ragazzi e che forse ancora diverte, dove non serve nulla per giocare se non una minima capacità attoriale e un pizzico di ironia per mimare una scena di un film e farne indovinare il titolo agli amici di turno.

Nel ritorno in sala è positivo (almeno per me) non poter portare in poltrona né da bere né da mangiare; svaniscono d’incanto i fastidiosi rumori da sgranocchiamento di pop corn e conseguente stappaménto di lattine, quei mini fracassi che nel silenzio della sala sembrano avvisi di terremoto. (Durerà?). Per ora si torna al cinema come se andassimo in chiesa per svolgere un rito collettivo da iniziati ai quali è concesso l’ingresso nel tempio. E quale miglior celebrazione se non con la benedizione di un artista che ha realizzato oltre 50 film e che un giorno, per far capire che una pellicola ti può cambiare la vita, scrisse con la sua inarrivabile ironia: Il mio primo film era così brutto, che in sette stati americani aveva sostituito la pena di morte.


Ultimo aggiornamento: Sabato 15 Maggio 2021, 14:55
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