Gli azzurri battono anche la pandemia. E l'11 luglio diventi una festa nazionale

Gli azzurri battono anche la pandemia. E l'11 luglio diventi una festa nazionale

di Marco Mottolese

11 luglio 2021.  Calcio batte Covid: è una serata magica. Non esiste uno sport di squadra che abbia maggior forza coinvolgente. Impossibile, in giornate uniche come quella dell'11 luglio (data che si ripete, sarà il caso di farne una festa nazionale?) stare alle regole sanitarie (sempre più sfocate, sempre meno seguite) davanti all'impellente necessità di abbracciare, baciarsi, sudare insieme, urlare, tifare, dimenticare. In nessuno sport ci si immedesima come nel calcio e ogni volta che la nostra Nazionale decide di essere imbattibile (è già successo, sì, nel 1982 e nel 2006 le ultime volte) si carica sulle spalle un'intera nazione che, a seconda dell'epoca, necessita di questo specialissimo Caronte che è la squadra azzurra per essere traghettata verso un periodo più sereno, più sano, collettivamente produttivo.

Missione questa volta affidata al gruppo di Mancini che, iniziata la sfida da lontano, non ha mai pensato di tornare indietro nemmeno, per stare al compianto Andrea Pazienza, “per prendere la rincorsa”. Sarebbe sbagliato dire che, con questa vittoria, il Covid è andato nell'oblio e che abbiamo voltato definitivamente pagina però appare evidente che in questa estate duemilaventuno fioriscono speranze che non spuntavano da tempo, come se il terreno in cui erano seminate non potesse più dare frutti.

E invece questa vittoria di notevole portata simbolica, per la rilevanza del torneo e per aver sconfitto un avversario che giocava in casa, quella casa che non è più Europa Unita dopo la Brexit, non solo ha creato clima perfetto per la fertilità di quella terra che s'era inaridita ma ha fatto puntare gli occhi del resto d'Europa proprio sul nostro Paese che, con l'insorgere del Coronavirus, era stato in qualche modo degradato e messo sotto sorveglianza speciale. E' proprio vero che dopo un trauma, del singolo o collettivo, si può uscire dal caos e procedere col vento in poppa - e che la spinta nuova che ne deriva permette di veleggiare sul tempo e sulla cresta d'onda del benessere e delle idee potenti - ma l'impressione è che il nostro Paese se ne giovi più di altri di questi "dopo guerra".

Sarà questione storica o geografica, abitudine a sconquassi e difficoltà millenarie, ma gli italiani sono specializzati nel reagire e - nel caso della pandemia - lo si nota già, nella scelta delle persone che ci devono guidare, negli sportivi che danno l'anima per farci sentire orgogliosi di convivere sotto la medesima bandiera, nelle attività industriali che ripartono più forti di prima.

Cartina di tornasole di tutto questo è spesso lo sport che ha la molteplice funzione di divertire e di educare, di indicare una strada, di scoprire individualità costruite col dna di un Paese. E poi, ricordiamocelo, i campioni che ci esaltano sono giovani per definizione e solo osservandola, la gioventù, sapremo che futuro ci attende.  Per cui, oltre a ringraziare i nostri atleti e chi li guida, siamo lieti di essere nati in questo paese che produce sorprese di questo genere, che cade in basso e si rialza, che magari non studia la storia ma la rivive inconsciamente a memoria, come se il passato che abbiamo in comune facesse parte del gruppo sanguigno di tutti.

Chissà se il virus tutto questo lo percepisce però, sicuramente, intuisce che in questo paese è iniziata la controffensiva che è fatta sì di vaccini e di controlli, ma anche di entusiasmo e di fiducia. Una partita di calcio è modo simbolico di dichiarare guerra alle altre nazioni per trovare stimoli, sostituendo alle armi il tifo, per affermare storie e origini diverse, come a dire  “almeno per questa volta siamo i migliori". Con questo bagaglio di entusiasmo ci ritroviamo oggi: che non vada disperso!


Ultimo aggiornamento: Martedì 13 Luglio 2021, 09:01
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