Tutto è Covid, ciò che finisce Covid: il virus che è già storia

Tutto è Covid, ciò che finisce Covid: il virus che è già storia

di Marco Mottolese

Da quando, ogni settimana, scrivo per questa rubrica, paradossalmente spererei di non avere argomenti; da qui, immagino di scrivere al Direttore: “ Davide non trovo storie da “Covid telling”, perché il virus è scomparso”. Poi mi rendo conto che non è vero, che la narrazione legata al tempo della pandemia potrebbe andare avanti per anni, perché quando ci sono i terremoti gli effetti non si vedono solo nel momento della catastrofe ma è nel corso del tempo che si dispiegano su ogni cosa. Per questo, se chi dirige questa testata lo vorrà, la rubrica potrà proseguire con il medesimo titolo anche in futuro ché le argomentazioni saranno comunque impregnate di virus pur dialogando apparentemente d’altro.

Troppo, il Covid, ha inciso nei giorni, per essere dimenticato in fretta e non lasciare segno nelle stagioni a venire. Ho detto terremoto, ma avrei potuto scrivere guerra, perché si sa che ogni dopoguerra – prima che si possa dire che la più antica e insensata delle azioni umane sia per l’ennesima volta superata - è lungo e prevede, per essere davvero un “dopo”, l’avvicendarsi delle generazioni: sia quella che al momento del disastro sostava nella parte centrale e operativa della vita sia quella in erba – che poco afferrava degli accadimenti - e infine la terza età, saggia, incolpevole, disillusa. Questo il movente che mi lascia immaginare la pandemia come invisibile tatuaggio che ci accompagnerà ancora a lungo.

Gli adulti ne usciranno affaticati ma forse desiderosi di rilancio mentre la progressiva scomparsa delle generazioni anziane farà sì che coloro che maggiormente hanno sofferto non potranno più testimoniare il peggio, come chi subì le angherie dell’ultima guerra i cui pochi superstiti sono talmente preziosi che quando uno di loro se ne va è sempre notizia. Saranno “racconti del covid” anche quelle cartoline dal prossimo futuro che, pur non avendo un nesso diretto con l’accaduto di questi mesi, appariranno come ologrammi nostalgici.

Ora, chi legge, potrebbe pensare che io stia scrivendo tutto questo perché a corto di idee. Non baro: è esattamente il contrario. Davanti al word vergine, con il racconto da consegnare, non è la mancanza di argomenti a frenarmi ma piuttosto la sovrabbondanza. Poniamo che voglia scrivere del boom della bicicletta, un mezzo avvantaggiato dal nuovo proibizionismo. La quantità di due ruote in giro lievita ma non tutti ne ricollegano l’inconsueta espansione alle necessità del momento né, tanto meno, alla “moral suasion” di improbabili agevolazioni pecuniarie per facilitarne la diffusione. Così, se scrivo di “rinascita della bicicletta”, simbolo di una nuova frugalità o di uno stile di vita meno aggressivo e più salubre, posso decidere di dargli un taglio “Covid” oppure no, e in questo secondo caso finirebbe sotto traccia il sicuro nesso del fenomeno con la pandemia. Questo è solo un esempio. A questo punto, però, non vorrei che si pensasse che sono in cerca di escamotage per scrivere a vita su Leggo, parlando di tutto ma mantenendo per comodità la titolazione Covid Telling anche nei prossimi tempi. Ma il virus è già storia e, pur avendo avuto la presunzione di infilarsi nelle nostre vite, dopo tosta battaglia, dovrà cedere il passo all’istinto di sopravvivenza dell’uomo: ma lo straniamento che ha arrecato è una spezia esotica che prima sorprende e poi dà sapore alla pietanza.

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Marco Mottolese nasce a Reggio Calabria.

Ha vissuto a Londra, Perugia e Milano e attualmente a Roma. In queste città si è diviso tra creatività e management utilizzando la scrittura come collante del suo lavoro. Ha pubblicato libri di poesia, racconti , un saggio a quattro mani sui graffiti urbani e periodicamente “presta la sua penna” per attività di ghost writing.


Ultimo aggiornamento: Venerdì 23 Aprile 2021, 15:27
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