Coronavirus, il virologo: «Contro il Covid l'Italia prenda esempio dall'Umbria»

Il virologo: «Contro il Covid l'Italia prenda esempio dall'Umbria»

di Italo Carmignani Fabio Nucci
PERUGIA – Un numero di riproduzione del virus di nuovo in discesa, da 0,94 a 0,65, un positivo caso dopo undici giorni senza nuovi contagi. In Umbria il virus continua ad essere sotto controllo come in poche altre regioni (solo in Basilicata zero casi in 12 giorni) e resta contenuto il numero dei positivi attivi: ora sono 37, 12 in ospedale e 25 con pochi o zero sintomi. Una condizione ottimale per affrontare la fase tre che, come osserva Fabrizio Stracci, epidemiologo del comitato tecnico-scientifico regionale, prelude al ritorno alla normalità anche del sistema sanitario. “Una fase più di dimenticanza che di nuovi problemi”, con un rischio contagio non ancora azzerato e la sorveglianza che resta centrale.

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Professor Stracci, l’Umbria utilizzerà l’app Immuni?
«Non so se aderiremo. Per ora è stata fatta una raccomandazione secondo la quale dovrebbe far parte del sistema di identificazione e isolamento, anche se volontaria. Potremmo usarne un’altra, aderire in un secondo momento oppure potenziare con strumenti locali il nostro sistema. Sono tutte ipotesi in campo in questo momento, in linea con la delibera regionale sulla sorveglianza sanitaria».
La regione si sta liberando dal Covid?
«Nelle epidemie bisogna essere flessibili, ora prendiamo atto che la condizione è favorevole che non ci sono casi gravi. Se ci si immunizza senza il rischio di sviluppare una malattia grave, come avviene adesso, prenderebbe forma la famosa visione di Johnson (Boris, ndr) ma senza danni, creando l’immunità di gregge innaturale. Ma non abbiamo tutte queste certezze, purtroppo. Se invece resta in campo l’ipotesi che non ci sono situazioni gravi perché i casi sono pochi e la frazione di quelli gravi non emerge, non conviene rischiare».

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Che succede quindi?
«Siamo entrati più in un quadro più di dimenticanza del coronavirus che di nuovi problemi: l’importante è far funzionare di nuovo il servizio sanitario per tutte le altre patologie. Non bisogna sottovalutare, ma bisogna anche considerare che al momento non ci sono elementi negativi: si può essere aperti con cautela. Viceversa si correrebbe un rischio maggiore. Se c’è la percezione da parte di tutti che è una cosa finita, questo si traduce in comportamenti che è poi difficile controllare e prevedere. D’altra parte se in questa fase si cerca di mantenere alta l’attenzione, si passa per allarmisti-terroristi: ci sono degli interessi dietro».
In che senso?
«Se ho interesse a rilanciare delle attività, a non restare in isolamento come unica regione, è normale spingere nel dire “è tutto finito”. La verità assoluta non ce l’ha nessuno. Non ce l’ho io e non ce l’ha una persone che la pensa in modo molto distante dal mio, come Zangrillo (Alberto, primario di Anestesia del San Raffaele di Milano, ndr) che vede una cosa nella sua clinica e la trasforma in evidenza. Ricordiamoci che evidenza scientifica significa avere delle pubblicazioni, non vedere “qualcosa” in un reparto».

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Ultimo aggiornamento: Lunedì 8 Giugno 2020, 11:55
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