Coronavirus, quando la voglia di avere un figlio è più forte di una pandemia

Quando la voglia di avere un figlio è più forte di una pandemia

di Italo Carmignani e Egle Priolo
La voglia di avere un figlio. Anche nel bel mezzo di una pandemia mondiale. Un desiderio forte, che però deve scontrarsi proprio con gli effetti del coronavirus. E quando una speranza così profonda si scontra con un destino doppiamente avverso, finisce per mancare il fiato. Come accaduto alle tantissime coppie che hanno chiesto aiuto al centro dedicato alle procreazioni assistite trasferito all'interno di uno degli ospedali umbri totalmente dedicato alla cura del Covid-19 pochi mesi prima dell'inizio dell'emergenza: una disdetta incredibile. 

«Sono anni che proviamo ad avere un figlio, il destino non ci ha aiutato ad averlo in modo naturale quindi ci siamo rivolti al Centro di procreazione medicalmente assistita di Pantalla. Avevamo tante speranze ma adesso è tutto bloccato per il coronavirus, lei ha idea di quando riaprirà?». Una domanda arrivata in posta, gentile e garbata ma un pugno alla bocca dello stomaco per chi sa cosa significa perdere anche solo due mesi in un percorso di fecondazione artificiale. Drammatica anche perché è solo la prima di una serie di interrogativi arrivati al Messaggero sul futuro del Servizio di Diagnosi e cura della riproduzione umana trasferito appena pochi mesi da Perugia all'ospedale di Pantalla. Il trasferimento di un’eccellenza nazionale che la direzione dell’Azienda ospedaliera aveva benedetto con soddisfazione. Quindi centinaia di coppie avevano preso, dallo scorso ottobre, analisi e speranze e invece della via per la struttura (francamente in condizioni di degrado) di proprietà dell’Università di Perugia avevano imboccato la strada per Todi e l’ospedale nuovo. Orfano del punto nascita, ma che in qualche modo avrebbe così continuato a dare alla luce nuove vite. 

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Ma il destino di queste coppie, già difficile e in salita, si è trovato davanti un altro muro. A causa dell’emergenza sanitaria, la struttura di Pantalla è stata da subito trasformata in ospedale Covid. Si salvano vite, ma la missione è incompatibile con un centro di pma. Che quindi da marzo ha dovuto chiudere i battenti. Con il doloroso dubbio di quando possa riaprire, con le speranze sottozero, in tutti i sensi. «Ero nel bel mezzo della stimolazione ormonale necessaria al pick up – scrive Giulia -. Tante punture al giorno, tutte sulla pancia, io che ho paura pure dei prelievi di sangue. Ma mi ero fatta coraggio. Io e mio marito Marco vogliamo tanto un figlio, lo desideriamo da sempre, ma la natura non è d’accordo. E adesso ci mancava una pandemia mondiale a buttarci giù. Avrei dovuto sottopormi al prelievo degli ovuli intorno al 20 marzo e invece mi hanno chiamato per avvisarmi che era tutto fermo. Stop. Finito. E nessuno, neanche i medici così disponibili che ci seguono, ci sanno dire quando potremo ricominciare il percorso». 
Giulia e Marco sono molto giù, sentono «il vuoto sotto i piedi», ma lo sconforto di Marta è ancora più inconsolabile. Lei, in quegli stessi giorni, aveva in programma il trasferimento degli embrioni, quindi della speranza di una nuova vita nel suo utero. «Dopo mesi di attesa, dopo la stimolazione, dopo le cure e tutte le analisi e un tentativo già andato a vuoto, questa volta mi sentivo forte, speravo tanto fosse la volta buona», confessa in chat. E invece anche lei, come almeno un altro centinaio di pazienti del Centro, ha dovuto interrompere il trattamento. «Solo che io ho più di 41 anni – dice piangendo – ogni mese perso per me è una ics in più sul nostro desiderio di famiglia». 

La maggior parte delle coppie che si rivolgono ai centri di procreazione assistita, infatti, hanno un’età elevata, considerando che dopo i 35 anni il tasso di fertilità si abbassa in maniera notevole.«Può capire la mia frustrazione? Ho aspettato tanto per la carriera – insiste Marta -, poi ho scoperto di avere un problema fisico, mi hanno operato e adesso che poteva andare tutto bene arriva il virus. Ma questo centro, visto il problema di Pantalla, non si può spostare di nuovo?». Una domanda che rimbalza di chat in chat, perché quando vuoi diventare genitore pensi a difendere tuo figlio anche se ancora non c’è. Come non c’è una risposta, vista la situazione in continua evoluzione, e si può solo sperare (ancora) in una decisione di chi ha in mano le redini della sanità per aiutare questi aspiranti genitori. 
Anche a non espatriare - alla ricerca di una gravidanza - fuori regione, dove altri centri riapriranno alla fine del lockdown.
Ultimo aggiornamento: Domenica 3 Maggio 2020, 18:48
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