Payton Gendrom è un ragazzo di diciotto anni che ha imparato l’odio dalle chat di QAnon e che lo scorso sabato ha imbracciato una fucile semi automatico Ar-15, indossando un elmetto con videocamera in testa e ha sparato raffiche mortali in un negozio della catena Tops nello stato di New York uccidendo colpendo a morte 10 persone e ferendone altre 3. La maggior parte di queste persone erano afroamericane e per questo Payton Gendrom è accusato di crimini di matrice razziale. Oltre a trovarsi di fronte ad un soggetto ossessionato dal tema dell’appartenenza razziale e autore di un delirante documento diffuso via Web che teorizza una teoria di sopraffazione delle minoranze etniche tutte a discapito della razza bianca, il fatto accaduto fa sorgere alcune riflessioni.
La superiorità della razza bianca che ha animato il gesto folle di Gendrom, fa inorridire noi europei che abbiamo vissuto il dramma inaccettabile dell’Olocausto e che riproposto tale e quale a distanza di decenni interroga sul significato e sul peso che la Storia ha sulla costruzione delle coscienze. Non solo. La radicalizzazione che si fa spazio nella mente di alcuni giovani, certo magari meno educati ad una cultura dell’inclusione, attraverso le informazioni manipolate che nel web si vestono facilmente di autenticità e non si distinguono dalle posizioni scientifiche, ci pone dinnanzi al grande tema irrisolto di come gestire la massa di notizie che lì si formano e vengono veicolate.
I vari lockdown, si è detto in tutti i contesti, hanno spezzato gli argini alle reticenze dei genitori, non nativi digitali, rispetto all’utilizzo dei devices da parte dei propri figli. Durante quei mesi solo attraverso lo schermo e la tastiera si poteva accedere al mondo che fino al giorno prima era fatto di persone in carne ed ossa: la scuola, ma anche le comitive di amici, le piazze per incontrarsi, il muretto per ritrovarsi, la panchina dove legittimamente bivaccare nell’adolescenza. C’è un’umanità di giovani e adolescenti che porta ancora le ferite, le cicatrici che l’isolamento ha imposto e che vengono quotidianamente ignorate da un mondo di adulti distratti, che racconta con uno stupore quasi incomprensibile fatti, certamente estremi come quello d’oltre oceano, ma che fanno emergere una non più derogabile richiesta di attenzione identica nella sua essenza e che non conosce confini.
Le città devono diventare luoghi ospitanti per i ragazzi e le ragazze che nel loro incontro possano sviluppare identità e smorzare le paure che un mondo sconosciuto e alimentatore di diffidenza come un web totalizzante può generare. Il rapporto tra quanto vivono nella quotidiana realtà e quanto vivono nella dimensione di quello che noi chiamiamo ancora con ostinazione mondo virtuale, deve essere equilibrato senza consentire al secondo aspetto di prendere il sopravvento e di diventare l’unico mondo esperienziale. Serve dunque un interesse da parte delle Istituzioni a tutti livelli e una volontà chiara e fattiva che sia in grado di chiamare a raccolta le menti più eccelse di questo Paese per costruire azioni politiche a tutto tondo in grado di rendere interessante per una giovane ed un giovane uscire di casa, lasciare la propria stanza per incontrare occhi reali, pensieri reali, voci reali, odori reali, suoni reali che costituiscono gli elementi su cui costruire la propria identità e le proprie convinzioni. Occorre liberare le strade e le piazze dallo spaccio di droghe e dall’indiscriminata vendita di bevande alcooliche e restituire alle giovani generazioni quel diritto a sognare e alla felicità troppo spesso negato, la cui assenza sviluppa paure, spinge a comportamenti estremi, è il terreno su cui si sviluppa l’attitudine alla violenza verso gli altri o verso sé stessi che imbarbarisce la società e la comunità. Cosa deve ancora succedere per sollecitare un intervento urgente su questi temi?
Ultimo aggiornamento: Lunedì 13 Giugno 2022, 13:07
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