Beni sottratti alle mafie, quei tesori che lo Stato lascia marcire: dal "castelletto" ai resort di lusso

Il “castelletto” di Nicoletti valeva 5 milioni di euro, ora è a rischio crollo. A Guidonia 33 alloggi destinati ai militari oggi sono diventati una piazza di spaccio

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di Antonio Crispino

Via dei Pescatori a Castel Gandolfo è la strada più panoramica che costeggia il lago Albano. A 500 metri di distanza dal costone da cui si erge il Palazzo apostolico residenza estiva del Papa c’è una bellissima villa a tre piani di quasi trecento metri quadri con altri 2500 di parco privato. In zona la chiamano “il castelletto” perché è simile a un piccolo castello con tanto di merlettatura su una delle torri. Qui veniva in vacanza Enrico Nicoletti, l’ex cassiere della Banda della Magliana. Quando i carabinieri entrarono per sequestrarla era il 1996. La foto che vedete in pagina a lato, scattata ieri, testimonia che a vincere è stata l’incuria e la burocrazia. Perché tutto è rimasto esattamente come ventisei anni fa. Anzi no, ormai “il castelletto” - che all’epoca valeva circa cinque milioni di euro - oggi è poco più di un rudere di campagna mangiato dalle erbacce di cui il Comune non vede l’ora di disfarsi. 

L’INCHIESTA
La nostra carrellata attraverso i tesori dei mafiosi (e non solo) prima confiscati e poi lasciati marcire dallo Stato parte da qui non a caso. L’ex villa di Nicoletti è l’emblema di tutto quello che può andare storto dal momento in cui un bene viene sottratto alla criminalità e affidato alle istituzioni. Dopo una serie di progetti più o meno concreti, nel 2012 si decide di realizzare una casa rifugio per donne vittime di violenza. Allorché il Comune si accinge a sistemare la struttura si accorge che è immersa in una zona classificata “R4” ossia ad altissimo rischio idrogeologico. La Città Metropolitana impone all’ente territoriale quello che non aveva fatto ai vecchi proprietari: mettere in sicurezza il costone prima di qualunque destinazione d’uso. Per farlo occorrono soldi che il Comune non ha e che superano di gran lunga il valore della casa. Fine della storia. Con un’appendice paradossale: se ora il Comune di Castel Gandolfo non trova una soluzione al problema rischia anche di essere sanzionato per mancato utilizzo del bene secondo quanto prevede il codice antimafia.

Strana sorte quella dei beni sequestrati a Nicoletti, criminale che ha stretto mani importanti dell’alta finanza e della politica. Un palazzo del ‘500 nel suo paese natio, Colli, ha fatto la stessa fine. Confiscato quando valeva milioni di euro, di recente è stato deciso l’abbattimento perché si è scoperto che lo Stato pagava il noleggio dei ponteggi alzati per evitare il crollo dello stabile ormai pericolante.

Il bello della storia - soprattutto questa - è che si ripete, compresi i suoi aspetti grotteschi. A 7 km di distanza da Castel Gandolfo c’è una sorta di palazzo reale, a Genzano. Valore stimato: 4,1 milioni di euro. Apparteneva all’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi che se ne era impossessato con fondi pubblici sottratti al partito. Nel 2016 avviene la confisca e ad oggi è ancora tutto fermo. «Al Comune non è mai stata data in gestione, se ne è sempre occupata l’Agenzia del Demanio - spiega il sindaco di Genzano, Carlo Zoccolotti -. Pochi giorni fa siamo venuti a sapere che i creditori di Lusi hanno presentato un’azione di pignoramento per cui tutto è bloccato in attesa che il tribunale si pronunci, intanto ci sono i primi segni di decadimento». 

Il colmo è quando un bene confiscato non riesce a essere utilizzato nemmeno nel caso in cui venga destinato alle forze dell’ordine.

Spulciando tra gli elenchi dell’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati si trova un complesso abitativo di 33 case a Guidonia-Montecelio, località “Piccini” sequestrato a un prestanome del clan Amato-Pagano nel 2017 e che avrebbe dovuto “soddisfare le esigenze alloggiative degli appartenenti alle forze dell’ordine”. L’alloggio lo hanno ricevuto solo in cinque. Il bando per selezionare gli aventi diritto è durato quasi un anno e mezzo durante il quale le altre case sono state occupate dagli abusivi che l’ANBSC cerca disperatamente di sfrattare. Oggi è una piazza di spaccio e prostituzione. A Trapani, un resort confiscato a Tommaso “Masino” Coppola, ritenuto vicinissimo a Matteo Messina Denaro, fu usato nel 2014 per ospitare i poliziotti che si trovavano in Sicilia per l’emergenza migranti grazie a una convenzione tra l’Agenzia dei beni confiscati e la società di gestione. Alla scadenza del contratto, nel 2019, i poliziotti sono stati mandati via e la struttura vista mare, con piscina e tutti i comfort è stata abbandonata. Oggi tutto quello che resta sono le recensioni degli ex clienti entusiasti su TripAdvisor. 

Addirittura ci sono situazioni in cui a riutilizzare il bene sequestrato sono gli stessi criminali ai quali è stato sottratto. O i loro parenti. Ce lo svela una nostra fonte che per anni ha lavorato nell’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati, chiede l’anonimato per ovvie ragioni. «Notammo che il Comune di Roma non pubblicava sul sito l’elenco degli immobili mafiosi. Oltre a segnalarlo all’amministrazione avviammo un accertamento e i vigili urbani scoprirono che a Torre Gaia in alcuni beni confiscati proprio a Nicoletti - che risultavano in gestione a una cooperativa - ci abitava il figlio». 

IL CASO “BALZANA”
A Santa Maria La Fossa, Francesco Schiavone detto “Sandokan”, capo del clan dei Casalesi controllava un’azienda agricola estesa quanto una città, con tanto di piccola chiesa e una scuola circondata da dieci ville bifamiliari. E’ il bene più grande mai sottratto alla camorra in Italia. Solo il processo per sequestrarlo e confiscarlo è durato 22 anni. Nel 2018 viene affidato ad Agrorinasce, una società costituita dalla Regione Campania e altri cinque comuni, che progetta di insediare un parco agroalimentare. Ben presto scopre che per realizzarlo occorrono non meno di 30 milioni di euro per recuperare gli alloggi, i capannoni e gli uffici che nel frattempo sono andati in malora. La settimana prossima partiranno i lavori per i primi 15 milioni di euro, esattamente 28 anni dopo. 

Nell’elenco del patrimonio disponibile del Comune di Reggio Calabria è inserito uno stabile che domina il “chilometro più bello d’Italia”, come D’Annunzio celebrava il lungomare di Reggio Calabria. E’ al civico 79 e apparteneva a uno ‘ndranghetista di nome Gioacchino Campolo. Confiscato nel 2015, cade a pezzi. Non va meglio nel lato opposto dello Stivale. In Lombardia, ad esempio, dove la cascina Barbavara a Vigevano (2440 mq) aspetta una destinazione dai tempi di “Mani pulite”. Infatti venne sequestrato alla fine degli anni ’80 dal pm Ilda Bocassini durante l’inchiesta “Duomo Connection” che accendeva i primi riflettori sulle infiltrazioni della mafia a Milano. Di recente il Comune ha previsto la possibilità di abbatterla. 


 


Ultimo aggiornamento: Lunedì 14 Novembre 2022, 19:30
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