L’idea è vecchia. E anche un po’ stantìa. Il principio che se la “locomotiva” del Nord viene messa in grado di correre, può trascinarsi dietro pure gli altri vagoni, per quanto ammaccati siano. Per questo, insomma, a Lombardia e Veneto andrebbe concessa «autonomia» rispetto allo Stato centrale. Per le altre Regioni però, vantaggi al momento non se ne vedono. Anzi. I rischi che le distanze aumentino sono concreti. Ma la relazione che accompagna la bozza della legge quadro per l’autonomia, che sarà approvata domani in consiglio dei ministri, si cimenta nel difficile esercizio di provare a convincere i capponi che Natale è una gran bella festa anche per loro. «È frequente», si legge nel documento esaminato ieri nel pre-consiglio dei ministri, «che il rischio che il rallentamento di talune realtà colpisca anche quelle che potrebbero avere un ruolo di traino». Dunque «l’auspicio è che tutti aumentino la velocità». Un auspicio appunto. Perché non è chiaro in che modo separare la scuola, rinunciare a pezzi di strade e di ferrovie, cedere porti, aeroporti, lasciare che si possa decidere sul territorio l’equivalenza dei farmaci, avere una cassa integrazione propria, regole autonome per le reti energetiche in piena crisi del gas, possa avvantaggiare e far crescere le altre Regioni. E le cose non migliorerebbero certo se anche gli altri 18 governatori, oltre a quelli di Veneto e Lombardia, ottenessero le stesse competenze. Si finirebbe per avere invece di un Paese unito e coeso, 20 microscopiche repubblichette. Alcune più ricche altre più povere.
Allora val la pena ricordare la vera posta in gioco del progetto, quella che oggi i protagonisti dell’autonomia “differenziata” negano a gran voce, ma che sta lì appesa come un’enorme spada di Damocle: il residuo fiscale. Trattenere cioè, sul territorio una consistente parte del gettito fiscale maturato all’interno delle Regioni che chiedono l’autonomia. La promessa di trattenere più soldi in Veneto e Lombardia, sottraendoli allo Stato e agli altri territori, è stata alla base della campagna referendaria del 2017.
I PASSAGGI
Dopo i referendum, in gran segreto, si tennero trattative tra il governo e le Regioni che portarono alla stesura di pre-intese (fu Il Messaggero a svelarne i testi) per la concessione dell’autonomia alle Regioni del Nord che ne avevano fatto richiesta.
LE PROMESSE
Alle altre Regioni la legge quadro promette, genericamente, «perequazioni» e finanziamento di livelli di prestazioni uguali a quelle dei territori più avanzati. Ma la ricerca dei fondi per compensare i disavanzi è rimandata ad altri provvedimenti. Soldi per ora, insomma, non ce ne sono. Mentre, come detto, il residuo fiscale rimane sullo sfondo. Qualche giorno fa la Regione Veneto ha messo on line un sito per fare «un’operazione verità» sull’autonomia e sulle sue ragioni. Una sezione è dedicata proprio al residuo fiscale. Il Veneto, secondo le tabelle pubblicate, pagherebbe di tasse 18 miliardi in più di quanto lo Stato spende nella Regione. Anche qui la premessa è che la «redistribuzione» non si vuole mettere in discussione. Ma, si legge sul sito, «allo stesso tempo è necessario che tale redistribuzione sia conosciuta e quantificata attentamente, affinché sia possibile esprimere valutazioni sulla sua congruità ed equità». Una valutazione, però, che potrebbe essere fatta fuori dalle aule parlamentari. La legge quadro sull’autonomia rischia di essere una foglia di fico.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 1 Febbraio 2023, 12:35
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