Alessia Bonari, il sorriso dell’infermiera: dall’inferno del Covid al red carpet di Venezia

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di Ilaria Ravarino
È arrivata, ha sfilato sul red carpet, se n’è andata. «Sono felice di rappresentare qui, sempre e ovunque, la mia categoria. Sì è vero, tutto questo è un sogno. Ma domani torno a Milano. Al lavoro». Quarantott’ore, per chi viene per la prima volta alla Mostra del Cinema di Venezia, non sono nulla. Si fa tempo a fare poco: una passeggiata sul bagnasciuga, lo scatto di qualche fotografo, una toccata e fuga sul tappeto rosso più blindato d’Europa. Ma se il tuo nome è Alessia Bonari, e di professione fai l’infermiera, 48 ore sono il tempo massimo che si possa strappare a un lavoro sospeso, mai come quest’anno, tra passione e dovere. 

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Grossetana, 23 anni, impiegata in un ospedale di Milano, Bonari ha il volto della ragazza della porta accanto e le stesse passioni di tanti coetanei: la musica di Tiziano Ferro, le serie tv, i film d’animazione e i viaggi, condivisi sui social - prima della pandemia - con l’entusiasmo di chi immaginava di avere tutta una vita davanti per staccare un biglietto e partire. Fresca di laurea, conseguita nel 2019 a Siena, il 9 marzo scorso Bonari aveva condiviso su Instagram uno scatto diverso dai soliti. Realizzato in un momento di rabbia, di frustrazione, o più probabilmente entrambe, il suo selfie la inquadrava davanti a uno specchio, in una stanza del reparto ospedaliero in cui stavano arrivando i primi “sospetti” covid. 

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Nel multiverso della rete arrivava così una foto che si sarebbe immediatamente stampata, a colpi di like (più di un milione) nell’immaginario nazionale: un’infermiera come tante, camice azzurro e capelli legati, con la faccia deturpata dai segni rossi di una mascherina così aderente alla pelle da segnarla e ferirla. «Ho paura anche io. Ho paura di andare al lavoro», scriveva sotto al post, invitando i giovani a «non vanificare gli sforzi» suoi e dei colleghi medici, che in quelle prime, terribili e concitate settimane quando il Covid correva e mieteva vittime soffrivano forse più degli altri. Nel fisico, «perché i dispositivi di protezione fanno male, il camice fa sudare e una volta vestiti non possiamo andare in bagno o bere per sei ore» e nello spirito, perché la paura, in quel momento, era tanta: «Paura che la mascherina non aderisca bene al volto, che mi sia toccata accidentalmente con i guanti sporchi, o che le lenti non coprano a sufficienza gli occhi». 

Il post, diventato virale (Instagram le ha riconosciuto il bollino blu dei personaggi popolari), ha cambiato la vita della ragazza, diventata - volente o nolente - un simbolo resiliente della lotta al Covid. Per questo, vederla apparire ieri a Venezia, invitata dalla pr Tiziana Rocca a ricevere il premio “Personaggio dell’anno”, è stato uno dei segnali più forti di ripartenza arrivati in questi giorni dalla Mostra. Bella, come tutte le ragazze della sua età, e avvolta in un elegante vestito lungo e nero, ma con il camice sempre pronto, Bonari sorrideva sul tappeto rosso del film in concorso Padrenostro di Claudio Noce, con Pierfrancesco Favino a pochi passi di distanza e la comprensibile emozione di chi affronta, per la prima volta, la luce dei riflettori veneziani. «Grazie Venezia per tutto l’affetto ricevuto, ma soprattutto grazie alla mia Italia», ha scritto su Instagram ieri, mostrando le foto del tappeto rosso accompagnate dall’hashtag, tornato per un giorno virale, #nursepower (“potere degli infermieri”). Tanti i like ricevuti, con le foto del suo volto sorridente che si moltiplicavano sui social - nonostante uno sparuto coro di haters, sempre incapaci di tacere - in un’improvviso, salvifico e lungamente atteso risveglio della speranza.
 

Ultimo aggiornamento: Domenica 6 Settembre 2020, 14:06
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