'Roma interrotta' torna al Maxxi di Roma. Bonito
Oliva: "L'Italia è un museo a cielo aperto"

'Roma interrotta' torna al Maxxi di Roma. Bonito ​Oliva: "L'Italia è un museo a cielo aperto"

di Valeria Arnaldi
Ripensare il passato per disegnare il futuro. Soprattutto, fare del fermento degli anni ’70 la chiave di volta dell’emergenza di oggi. L’obiettivo di “Tra/Between Arte e Architettura”, a cura di Achille Bonito Oliva al Maxxi, a Roma, far pensare e ripensare la scena culturale. E di pensieri e ripensamenti parliamo con Bonito Oliva per scoprire che La politica oggi si deve assumere la responsabilit del museo a cielo aperto Italia.





Al Maxxi, nella Capitale, porta la riedizione della storica mostra del 1978 “Roma interrotta”, per quali ragioni secondo Achille Bonito Oliva, l'energia culturale degli anni '70 si è “interrotta”?

«Negli anni Settanta Roma e l'Italia erano ricche di fermenti sociali, politici e culturali. C'era un confronto molto forte tra le parti sociali, frutto dell'ottimismo, perché quel confronto portava risultati. Il contesto di oggi è depresso perché non ci sono risposte e non c'è un progetto capace di puntare sulla cultura come luogo di ripartenza. Quando ho fatto mostre in spazi alternativi, come il garage di Villa Borghese, ho fatto di necessità virtù, usando tutti gli spazi per il contemporaneo. Ora il contemporaneo ha i suoi spazi deputati ma è come se mancasse l'energia da far circolare».



Quanta responsabilità ha la politica in questa stasi?

«Oggi c'è un forte scetticismo. La Sinistra non fa rinnovamento ma manutenzione. Guardo con simpatia al dinamismo di Matteo Renzi che prima agisce e poi pensa, questo tipo di incoscienza oggi può essere utile».



Cosa dovrebbe fare il governo per risollevare la scena culturale italiana?

«La Politica dovrebbe accelerare e darsi un ruolo, assumere la responsabilità dell'Italia come più grande museo a cielo aperto del mondo. La cultura crea indotto, contrariamente a quanto dice Tremonti. Tutto quello che ho fatto, io l'ho fatto con fantasia. In una situazione d'emergenza come quella attuale servono persone particolari con conoscenze e vitalità progettuale».



Mancano risposte dall'alto ma forse mancano anche le giuste domande dal basso. La tv ha abbassato la cultura di base e le sue richieste?

«Bisogna fare formazione, usando la tv per l'influenza e le possibilità che apre. Su Rai3, conduco “Fuori Quadro” che vuole essere proprio una trasmissione di formazione multimediale. La Rai sta tentando di assumere il ruolo che dovrebbe essere della televisione pubblica. Non bisogna colpevolizzare però la tv commerciale, non è stata quella a cancellare la coscienza sociale. Servono lo spirito resistenziale e anche un'alfabetizzazione progressiva».



Come “pubblico” culturale siamo così provinciali come a volte ci dipingono, facilmente incantati da ciò che viene dall'estero?

«La globalizzazione è stata vissuta prima puntando sulle radici, dunque sul local, poi sull'esterno, ossia il global. Ora bisognerebbe portare le radici nell'internazionale, puntando sul glocal. La cultura potrebbe essere un riparo enorme».



Come giudica l'arte contemporanea italiana oggi?

«In questo momento non c'è una forte idealità. Gli artisti non lavorano sulla solidarietà, gli ultimi sono stati quelli della Transavanguardia negli anni '80, la post-modernità si fonda sull'individualismo. L'arte oggi vive sull'inventiva personale, ma non può stare in apnea a lungo. Riprenderà, è una certezza».
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 23 Aprile 2014, 10:39
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