Coronavirus, la circolare Inail: datore di lavoro responsabile solo se non fa rispettare i protocolli

Coronavirus, la circolare Inail: datore di lavoro responsabile solo se non fa rispettare i protocolli
In caso di contagio da Covid sul lavoro, il datore di lavoro può essere responsabile o no? La risposta al quesito di cui si parla da giorni è stata data oggi dall'Inail, nella circolare numero 22 diffusa dopo aver acquisito il parere favorevole del ministro del lavoro e delle politiche sociali con nota del 20 maggio 2020, protocollo 5239. Nella circolare si forniscono delle ulteriori istruzioni operative nonché dei chiarimenti su alcune problematiche sollevate in relazione alla tutela infortunistica degli eventi di contagio.

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«La responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all'articolo 1, comma 14 del decreto legge 16 maggio 2020, numero 33», prevede la circolare Inail.

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Il rispetto delle misure di contenimento, «se sufficiente a escludere la responsabilità civile del datore di lavoro, non è certo bastevole per invocare la mancata tutela infortunistica nei casi di contagio da Sars-Cov-2, non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il rischio zero. Circostanza questa che ancora una volta porta a sottolineare l'indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo da quello giudiziario». «Non possono - si legge nella circolare - perciò confondersi i presupposti per l'erogazione di un indennizzo Inail (basti pensare a un infortunio in 'occasione di lavoro' che è indennizzato anche se avvenuto per caso fortuito o per colpa esclusiva del lavoratore), con i presupposti per la responsabilità penale e civile che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative
». 

In questi, infatti, «oltre alla già citata rigorosa prova del nesso di causalità, occorre anche quella dell'imputabilità quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro. Il riconoscimento cioè del diritto alle prestazioni da parte dell'Istituto non può assumere rilievo per sostenere l'accusa in sede penale, considerata la vigenza del principio di presunzione di innocenza nonché dell'onere della prova a carico del pubblico ministero». «Così come - precisa - neanche in sede civile l'ammissione a tutela assicurativa di un evento di contagio potrebbe rilevare ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario l'accertamento della colpa di quest'ultimo nella determinazione dell'evento».

Quanto all'attivazione dell'azione di regresso, si legge ancora nella circolare dell'Inail, «non essendo più subordinata alla sentenza penale di condanna dopo l'elisione da parte della Corte Costituzionale della pregiudizialità penale, presuppone, come è noto, la configurabilità del reato perseguibile d'ufficio a carico del datore di lavoro o di altra persona del cui operato egli sia tenuto a rispondere a norma del codice civile. Pertanto, così come il giudizio di ragionevole probabilità in tema di nesso causale, che presiede al riconoscimento delle prestazioni assicurative in caso di contagio da malattie infettive, non è utilizzabile in sede penale o civile, l'attivazione dell'azione di regresso da parte dell'Istituto non può basarsi sul semplice riconoscimento dell'infezione da SarsCov-2».

La circolare dell'Istituto precisa che «l'attivazione dell'azione di regresso presuppone, inoltre, anche l'imputabilità a titolo, quantomeno, di colpa, della condotta causativa del danno.
In assenza di una comprovata violazione, da parte del datore di lavoro, pertanto, delle misure di contenimento del rischio di contagio di cui ai protocolli o alle linee guida di cui all'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, numero 33, sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro». «Al fine di garantire l'omogeneità della trattazione e una attenta gestione dell'invio delle diffide - si legge ancora - le avvocature territoriali dell'Istituto avranno cura di trasmettere all'avvocatura generale le pratiche riguardanti possibili azioni di regresso nei casi di infortunio sul lavoro da Covid-19, accompagnate da una breve relazione in ordine alla ricorrenza dei presupposti richiesti».

Ultimo aggiornamento: Mercoledì 20 Maggio 2020, 19:13
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