Coronavirus, si lavora al vaccino per sconfiggere l'epidemia. L'Iss: «Un anno di tempo ci vuole tutto». E negli Usa si muove Trump

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di Simone Pierini
Non si ferma l'espansione dei contagiati da Coronavirus che dopo il focolaio lombardo e veneto ha allargato i suoi orizzonti a tutto l'Occidente, con la prima vittima anche negli Stati Uniti. Oltre alle misure per contenere l'epidemia, si lavora per confezionare il vaccino. «Ci vuole un anno», ha ricordato Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, ospite di 'Mezz'ora in più' su RaiTre. «La tecnologia per svilupparlo c'è, già esiste un candidato vaccino, ma poi occorre testarne la sicurezza e l'efficacia e va prodotto in moltissime dosi. Un anno di tempo ci vuole tutto». Rezza ha poi spiegato che «è plausibile che il coronavirus sia entrato nel lodigiano ancora prima del blocco dei voli da Wuhan».
 
 

Nei giorni scorsi l'azienda biotech americana Moderna ha annunciato di aver spedito il primo lotto del vaccino sperimentale mRna-1273 all'Istituto Nazionale delle Allergie e Malattie Infettive (Niaid), per avviare la fase 1 della sperimentazione clinica su un piccolo numero di persone. Anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump insiste sulla necessità di sviluppare al più presto un vaccino. Motivo per cui lunedì incontrera «le case farmaceutiche, parleremo dello sviluppo di un vaccino molto presto». Il tycoon si dice pronto «a qualsiasi scenario», dichiarando che l'emergenza è seguita «24 ore su 24» da una task force di esperti, con la massima professionalità. 

Sullo stesso tema ha parlato Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani che, intervistato da La Stampa, ha sostenuto come l'equipe sappia già molto sul Coronavirus, conoscenza che prosegue di giorno in giorno «grazie alla grande mobilitazione scientifica internazionale». Ma molto c'è ancora da scoprire, «a partire dai meccanismi di trasmissione». Ippolito ha commentato la notizia delle prime fiale consegnate dalla biotech Moderna ma - sostiene - «siamo ancora all' inizio di un percorso che non durerà meno di un anno, un anno e mezzo».

Allo Spallanzani per guarire i due pazienti cinesi sono stati usati due farmaci: il lopinavir/ritonavir, un antivirale utilizzato per la infezione da Hiv e che mostra attività antivirale anche sui coronavirus; e il remdesivir, un antivirale già usato per Ebola, potenzialmente attivo contro il coronavirus: «I nostri pazienti - ha detto - sono guariti dalla polmonite e si sono negativizzati rispetto al virus, ma occorreranno studi più approfonditi per verificare se questo approccio terapeutico possa essere esteso». Nel decidere di limitare i test per il Covid-19 solo ai pazienti sintomatici, a differenza di quanto è stato fatto sinora in Italia «ci siamo solo adeguati alla definizione di caso che è stata aggiornata il 25 febbraio dall' Ecdc, l' Agenzia europea di prevenzione e controllo delle malattie». La somministrazione del test a pazienti che non presentano sintomi «ci porterebbe ad avere risultati non confrontabili con quelli delle altre nazioni».
Ultimo aggiornamento: Domenica 1 Marzo 2020, 16:52
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