Sanremo 2020, Antonio Signore è Junior Cally: «Salvini? Renzi? M5s? No, grazie. Sardine tutta la vita»

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di ​Rita Vecchio
Lungomare di Sanremo. Ore 9,25. Il mare è piatto. Vola un gabbiano. C’è chi sorseggia un caffè, chi porta il cane a passeggio, chi va in bicicletta. Passano due ragazzi che fanno jogging: pantaloncini corti e felpa con cappuccio. Uno dei due ha un tatuaggio evidentissimo sulla mano destra: è l’occhio di Junior Cally, il rapper di Focene che ha infiammato il Festival ancor prima di esibirsi. Corre sulla ciclabile come un Rocky di periferia.
Lo chiamo: «Junior Cally?». Non risponde. Lo richiamo: «Junior Cally?». Niente, continua, anzi accelera. 
«Certo che, se è vero che ti droghi, corri veloce». Inchioda. Si gira. «Io non mi drogo. Non mi sono mai drogato. La droga mi fa schifo».
Si abbassa il cappuccio, torna indietro. Eccolo Antonio Signore, 28 anni, in arte Junior Cally. Al suo fianco il suo inseparabile amico, il videomaker Sebastiano. 

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Mai, mai?
«Qualche cannetta da ragazzo. Ma ora nulla. Non ho mai usato droghe pesanti, sono mai stato un tossicodipendente».
E perché dicono il contrario?
«Non lo so perché. Forse per i tatuaggi, forse perché sono un rapper. È un marchio pesante che mi porto da quando sono piccolo. All’epoca i tatuaggi erano cose da carcerati, da poco di buono. Pensa che mio fratello fa pure il tatuatore, è uno bravo, ha lo studio a Garbatella. A Focene ci guardavano come fossimo i figli di Satana (gli scappa un sorriso, ndr). Mi ricordo che un imprenditore vietava al figlio di frequentarmi perché diceva che ero drogato. Oggi io canto e il figlio è tossicodipendente». 
Il primo tatuaggio?
«Dopo che ho superato la prova più dura della mia vita. Avevo 14 anni, avevo fatto il provino di calcio per giocare nel Perugia ma alle visite mediche mi diagnosticarono una forma di leucemia. É stato devastante. Ho vissuto quattro anni tra un ricovero e un altro. Ma non avevo nulla. Nulla!».
Adesso è sessista, violento, da squalificare, da toglierli la cittadinanza di Focene. Ti hanno detto di tutto. 
«Assurdo, per quattro strofe di una canzone di tre anni fa, Strega. Sono scosso». 
In che senso? 
«Mi sono svegliato una mattina e mi sono trovato sbattuto in prima pagina con parole come “pedofilo”, “misogino”. Sui social mi hanno massacrato: messaggi come “tua madre dovrebbe vergognarsi di avere partorito un essere diabolico come te”, “ci auguriamo che tua madre venga stuprata”. E potrei continuare».
Continua.
«Questi sono i commenti dell’italiano medio, che parla senza sapere, senza conoscere. E il brano che porto in gara a Sanremo è proprio contro l’italiano medio».
Non vorrai negare che le parole di quella canzone siano violente?
«Possono urtare la sensibilità. Ma non inneggio alla violenza. Non dico di umiliare, di violentare, di ammazzare. Se si legge bene il testo è l’esatto contrario. Uccido il concetto. Non certo la donna. Canto che bisogna farsi rispettare con le parole che sono più forti di ogni cosa». 
Perché ci si scandalizza allora? 
«Perché è una canzone. Un film può avere immagini forti. La musica, no. Ma io in quella canzone raccontavo quello che vivevo».
Spiegati meglio.
«Guarda qui. (mostra sul cellulare i messaggi privati di Instagram, foto hot di ragazze, ndr). In quella canzone racconto uno spaccato di società che di solito non si vuole raccontare anche perché è più vicino di quanto si pensi. Racconto una generazione schiavizzata dai cellulari. E racconto anche di mio padre, tre infarti e vivo per miracolo, che i medicinali se li è sempre dovuti comprare da solo. Canto di una politica che non esiste. Di una tutela che non c’è».
Politica anche nel brano in gara (applauditissimo dalla critica ieri alla prova generale): l’attacco a Salvini e a Renzi è più che esplicito. Sta con i Cinque Stelle? 
«No, nemmeno con loro».
Per chi ha votato l'ultima volta?
«Ok. Ho votato per i cinque Stelle, ma non lo rifarei mai. Sardine tutta la vita».
Parliamo di musica, parliamo ancora di “No, grazie”.
«È un brano ultra rap. Anti populista. Che critica proprio i luoghi comuni. E dove non si parla assolutamente di donne».
Già, le donne. Quali sono quelle della tua vita?
«C’è la mia fidanzata Valentina, e mia madre Flora».
Che dicono? Come stanno loro?
«Mi appoggiano. Mi hanno dato quel calore che negli ultimi giorni dall’esterno non ho avuto. Mia madre, donna dal cervello pensante, ex insegnante di scuola elementare, capiva anche i brani vecchi e ha 59 anni. Valentina, fa la dj, sui social hanno attaccato anche lei».
Come ha iniziato con il rap?
«Ascoltando Caparezza, Eminem, Fabri Fibra. Oggi li consideriamo grandi rapper, ma sono stati demonizzati anche loro. In Cuore di Latta, Fibra parla con crudezza di Erika e Omar, del fatto di cronaca nera che scioccò l’Italia. Ma di certo non si è mai pensato di emulare il delitto. Conta l’educazione all'ascolto. Il rap è un racconto, un canovaccio su cui un teatrante recita. Questo si fa da anni. Il rap ora è diventato il nuovo pop e così in tanti reagiscono male e scrivono “muori”, “fai schifo”, “ammàzzati”. Io, invece, non auguro a nessuno la morte, non dico a nessuno fai schifo, non inneggio al suicidio».
E perché la maschera? 
«Per poter vivere la mia vita da rapper senza, almeno all’inizio, dover subire il pregiudizio. A Focene, frazione di Fiumicino con quattro case e qualche migliaio di abitanti, ero visto come lo sfigato, mi prendevano in giro: “Tuo padre lava le vetrine dei negozi e tuo vuoi fare il rapper?”. Con la maschera li ho fregati».
Cioè?
«È stato divertente vedere chi mi derideva, ascoltare Junior Cally in macchina senza sapere che era Antonio Signore».
Ma non era più facile andar via da Focene? Lasciare l’Italia come hanno fatto tanti?
«A me piace l’Italia. A me piace Focene, e mi manca tanto. Mi hai trovato a correre sul lungomare perché mi fa pensare a Focene».
Il sindaco di Fiumicino, Esterino Montino, ti ha chiamato?
«No». 
Colleghi solidali?
«Anastasio, Rancore, J-Ax e Irene Grandi. Bugo, invece, mi hanno detto che sui social mi ha criticato». (Più tardi Fiorello in conferenza stampa ha detto: «Lo invito a cantare alla cresima di mia figlia»). 
Il commento più brutto? 
«Quelli contro mia madre. Dirle di avere partorito un demone è di una crudeltà infinita». 
Quello più bello?
«Un’amichetta d’infanzia che non vedo da anni ha scritto “Conoscetelo”». 
Giovedì, nella serata delle cover, hai scelto “Vado al massimo” di Vasco. Perché?
«Vasco arrivava da outsider».
Non ti vorrai paragonare a Vasco.
«No, assolutamente. Ma nel mio piccolo mi sento un outsider anche io. Duettare con i Viito (quelli di “Bella come Roma, stronza come Milano”, ndr.) sarà molto divertente. Vedrete» 
Che aspettarsi da Sanremo?
«Di vivermi quello che ho sudato da anni», si apre la felpa e spunta una maglietta con la scritta “Chi è Junior Cally?”.
Ops, chi è Junior Cally?
«Un ragazzo di Focene che non ha i “superpoteri”, (come canto nella canzone in gara). Ma che ha già vinto il suo Festival con la convocazione da parte di Amadeus. Fino a poco tempo fa stavo a Campo de’ Fiori a lavare le vetrine con mio padre. È la rivincita di Antonio nei confronti di quelli che gli davano del fallito, come la mia ex. Lei voleva che lasciassi il rap e andassimo a lavorare in ambasciata. Io oggi faccio il rap e lei non lavora all’ambasciata. Ho vinto contro tutti coloro per cui Junior Cally non sarebbe mai esistito».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 6 Febbraio 2020, 13:45
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