Kobe Bryant, i commenti choc su Twitter: «Era uno stupratore». Cosa è successo nel 2003

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di Domenico Zurlo
Nel passato di Kobe Bryant, l’ex campione NBA morto ieri in un incidente in elicottero, c’era anche una piccola ombra: un’accusa di stupro, risalente al luglio del 2003, da parte di una ragazza di 19 anni. Lui all’epoca ne aveva 25 ed era già una superstar, con tre titoli già vinti al fianco di Shaquille O’Neal (nel 2000, 2001 e 2002).

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Di quel caso tanto si parlò all’epoca: diverse polemiche ci furono anche due anni fa, quando nel pieno degli scandali legati al #metoo, l’Academy premiò con l’Oscar il cortometraggio di Kobe nato dalla sua lettera d’addio alla pallacanestro. E ieri, dopo la notizia della sua morte, è successo anche di peggio, con commenti orribili apparsi sui social non da parte di sparuti commentatori o troll, ma da giornaliste, attrici e femministe.

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Una reporter del Washington Post, Felicia Sonmez, dopo la morte di Bryant ha infatti postato un articolo del Daily Beast proprio su quelle accuse, dal titolo “Il caso dello stupro di Kobe: la prova del DNA, la storia della accusatrice, e la semi-confessione” (qui il link per leggerlo). A quel tweet sono seguite migliaia di risposte di fan di Kobe che hanno attaccato la Sonmez per il discutibile tempismo.
E la cronista, prima di rimuovere tutti i tweet, ha ribattuto così: «Alle 10mila persone che hanno commentato e scritto mail con insulti e minacce di morte, prendetevi un minuto e leggete il pezzo, scritto oltre tre anni fa e non da me. Ogni figura pubblica andrebbe ricordata nella sua totalità, anche quando è amata da tutti». Un altro giornalista della ABC e della Reuters, Matthew Keys, ha postato gli screen dei tweet di Felicia Sonmez, parlando di una sospensione da parte del Washington Post, non per i tweet anti Kobe ma per un’altra questione legata alla privacy.
I COMMENTI CHOC Ma la Sonmez non è stata l’unica a scegliere un discutibile tempismo nei suoi tweet contro Bryant. «I miei pensieri sono e rimarranno con le vittime che vedono le loro accuse di stupro mascherate o ignorate solo perché un uomo sa praticare bene uno sport. La tua storia, il tuo trauma e la tua umanità contano più di una carriera», le parole di Danielle Campoamor, collaboratrice di New York Times e Cnn (stando alla sua bio su Twitter). «Potete avere il cuore spezzato per sua moglie, le sue figlie, i suoi amici, le persone che lo hanno idolatrato. È tanto triste quanto complicato».
Ma le parole più choc vengono dalla 32enne attrice Evan Rachel Wood, la Dolores Abernathy di Westworld, lanciata a Hollywood per la sua interpretazione in Thirteen nel 2003. «Ciò che è accaduto è tragico, ho il cuore spezzato per la famiglia di Kobe. Era un eroe dello sport, ma era anche uno stupratore. E tutte queste verità possono esistere contemporaneamente», le parole di Rachel, che hanno provocato migliaia di commenti negativi nei suoi confronti.
COSA ACCADDE La giovane, una dipendente di un hotel in Colorado, accusò Kobe di averla violentata, il 30 giugno 2003: il 4 luglio Kobe venne arrestato e poi rilasciato dopo aver pagato una cauzione di 25mila dollari. Bryant ammise di aver fatto sesso con lei, ma in maniera consensuale: ne seguì un periodo difficile anche con la moglie tradita, Vanessa, all’epoca già mamma della primogenita di Kobe.
L’incubo del Mamba andò avanti per circa un anno: il 27 agosto del 2004 il processo vide il ritiro delle accuse di stupro da parte dei legali della presunta vittima. Parecchi sponsor abbandonarono il giocatore dei Lakers: la Nutella decise di non legare più a Kobe il suo nome, mentre la Adidas, il suo sponsor tecnico personale fin dall’inizio della sua carriera, non rinnovò l’accordo con lui e Bryant diventò un uomo Nike. Singolare come quelle accuse, 16 anni dopo, tornino a galla proprio dopo la sua morte, come una coltellata nel cuore della sua famiglia, che in queste ore non meritava probabilmente di vedere rivangata quella brutta storia.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 27 Gennaio 2020, 18:12
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