La Scala, una Tosca da film. Il regista Livermore: «Roma sarà la quarta protagonista»

La Scala, una Tosca da film. Il regista Livermore: «Roma sarà la quarta protagonista»

di Rita Vecchio
L’aria del Lucevan le stelle della Tosca con la famosa “l’ora è fuggita e muoio disperato”, con Davide Livermore diventerà parte di uno storyboard cinematografica. A lui è affidata la regia dell’opera di Giacomo Puccini che inaugurerà la stagione alla Scala (e la chiuderà pure con La Gioconda di Ponchielli diretta da Ádám Fischerper nel novembre 2020). Livermore, 52 anni di Torino e una carriera a tuttotondo dall’essere il neo direttore del Teatro Nazionale di Genova, al cinema, alla musica, è alla sua quarta regia in Scala e, dopo l’Attila di Verdi dell’anno scorso, al suo secondo 7 dicembre scaligero.

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Livermore, come è fare il regista della Tosca?
«Complicato. Perché complicato è stare dietro alla perfezione narrativa di Puccini, cercando di restituirla. È lui che detta le regole. È lui il primo grande regista di Tosca, dalla partitura implacabile e descrittiva nei movimenti dell’azione e dell’anima. E da qui sono partito. Tosca è uno storyboard cinematografico in musica. E a scriverlo è stato proprio Puccini». 

Storyboard ai tempi del #metoo. È una storia drammaticamente eterna. 
«Ma è sempre di Puccini, però. Tosca uccide Scarpia, si fa assassina in un raptus per liberarsi di un personaggio fatto di ricatti e soprusi. Puccini non racconta storie archetipiche, come Verdi, per dire cose alla propria contemporaneità. Puccini racconta proprio quella storia lì, fatta di sguardi, mani che si toccano, atti di violenza». 

Per questo ha deciso di non spostare nel tempo la vicenda?
«Tamerlano era ambientato nella rivoluzione russa, il Don Pasquale nella commedia all’italiana anni ’60, Attila nella dimensione distopica di un neorealismo degli anni ’40. Ci sono partiture che li consentono, non Tosca. L’ambientazione è nel 1800, la stessa puccinina».

Tosca, Scarpia e Cavaradossi. Poi c’è Roma, la quarta protagonista. 
«Con Palazzo Farnese, Castel Sant’Angelo rappresentato in modo onirico che significa morte, giustizia negata, ali rotte di San Michele Arcangelo. E con la Basilica di Sant’Andrea della Valle, la vera grande sfida, dove il Te Deum sarà simbolo di chiusura, da dove (a sorpresa) non partirà l’opera come invece siamo abituati». 

Il maestro Chailly ha spoilerato che sarà come se il pubblico entrasse davvero in scena. 
«Ci si immergerà totalmente. Si vedranno parti del Sant’Andrea che non abbiamo mai visto, la cripta, la cappella degli Attavanti, affreschi, la chiesa che si ribalta e quindi l’abside. Al pubblico sembrerà di avere immagini girate con la Steadicam, macchina usata nel cinema. E invece, ci sarà movimento scenico e sospensione, che si gira e si ricompone a vantaggio della narrazione». 
 
 


In questa Tosca, otto sono le parti diverse rispetto alla versione che meglio conosciamo.
«È la sfida più bella che mi ha dato il maestro Chailly. E io ho usato la regia come fossi un musicista. Un esempio? Il finale ha 45 secondi in più. Musica sublime. É quella del salto da Castel Sant’Angelo che porterà alla morte. Un salto che raccontiamo in un modo diverso, in un modo in cui il tempo non importa più». 

È vero che ci sarà il corteo di suore nella scena della violenza di Scarpia e della tortura di Cavaradossi?
«Non si vedranno suore che assistono alla violenza. Ma una macchina teatrale che introdurrà a scene monumentali».

Il maestro Chailly ha detto che finora parebbe che lei lo stia ascoltando. 
«Ma mi sembra sia reciproco (ride, ndr). È divertente l’incontro artistico: ci si incontra, ci si scontra e ci si ascolta».

In sintesi, sarà una Tosca come al cinema.
«Puccini amava il cinematografo. Non ha mai scritto musica per film, ma ha insegnato a tutti come si fa».
Ultimo aggiornamento: Lunedì 25 Novembre 2019, 18:38
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