Pietro Leemann: «La mia cucina colori e gusto amata da Rem e Metallica»

Pietro Leemann: «La mia cucina colori e gusto amata da Rem e Metallica»

di Rita Vecchio
Da una sua filosofia di vita, alla rivoluzione in cucina. Il tutto con estrema gentilezza. Pietro Leemann è lo chef svizzero che ha anticipato tempi e mode. Con il Joia - il ristorante vegetariano gourmet di Milano, primo in Europa a essere premiato nel '96 con la stella Michelin e ancora oggi, a 30 anni dall'apertura unico vegetariano stellato in Italia - ha gettato le basi per una nuova era. Buddismo Zen, Taoismo e Vedismo sono il denominatore comune di piatti. «La mia filosofia? Parte da un disagio iniziale, mentre ero in Svizzera».
Quindi parte bene.
«Già (ride, ndr). La cucina borghese è ed era di grande bontà, ma non ne accettavo la pesantezza. Litri di panna, proteine e grassi, rendevano la cucina sofisticata, ma poco equilibrata. Mangiavo in quel modo e non mi faceva bene».
Ma il binario del non ritorno sul vegetariano come è stato preso?
«Perché ho sempre amato gli animali. Il viaggio in Oriente ci ha poi messo del suo. La scelta ha un senso preciso, legata a episodi di infanzia. Mio padre allevava i maiali, animali con cui diventavo amico. Si immagini il grande dispiacere che provavo quando li portava al macello. Un giorno toccò a me aiutarlo a caricarne uno sul furgone. Il maiale scappò e ricordo ancora le urla, l'animale gridava come fosse un bambino. Questo episodio mi segnò in modo indelebile. Quando cucino, salvo di fatto degli animali».
Ma come ha deciso di fare lo chef verde?
«Tutto parte da una bavarese alla vaniglia del cuoco ticinese Angelo Conti Rossini. Ne rimasi folgorato. Poi allievo di Gualtiero Marchesi e di Frédy Girardet, lo studio dell'antroposofia, della relazione tra uomo, natura, cosmo e Dio. La passione per la dietetica cinese vivendo in Cina e in Giappone. Marchesi mi disse che ero un pazzo ad aprire un ristorante vegetariano. Poi si ricredette. Era un uomo molto intelligente. E pensare che mio padre Alfredo all'inizio non voleva che facessi il cuoco».
E cosa sognava?
«L'università. Alla fine però è come se avesse vinto lo stesso lui. Nella vita ho studiato e studio ancora tantissimo: ho imparato lingue, nutrizione, culture orientali. A chi vuole fare lo chef consiglio di non saltare i passaggi e non pensare al guadagno a tutti i costi. Marchesi diceva sempre: l'università in cucina è quando si va a lavorare nelle grandi cucine».
Il pregiudizio più grande?
«Si diceva che non era possibile mangiare vegetariano con gusto. E invece ho sdoganato questo e ho messo l'estetica nel piatto».
Qualche titolo di piatto?
«Colori, gusti e consistenze. Ma anche Uovo apparente, La fonte della vita, Sotto una coltre colorata, Di non solo pane vive l'uomo, Love, o Gong il piatto in cui c'è anche il suono».
Il complimento più bello?
«Un cliente mi ha detto che lo strudel, dolce che preparo al momento, lo riportava ai ricordi della nonna».
Cosa pensa del connubio chef-tv?
«La tv è un mezzo potente per trasmettere idee».
La sorpresa che non si aspettava?
«Che i Rem e i Metallica dietro quella musica dura e progressive che tanto ama mia figlia, fossero persone squisite. Sono impazziti per alcuni dei miei piatti. E ho cominciato ad ascoltare la loro musica in modo diverso. La creatività evocativa accomuna mondi diversi».

riproduzione riservata ®
Ultimo aggiornamento: Venerdì 22 Novembre 2019, 07:42
© RIPRODUZIONE RISERVATA