Vigili del fuoco morti a Alessandria, Reggio ha salutato Nino Candido. «Una morte che sa d’eroismo». Cori e fumogeni degli ultrà

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di Mario Meliadò
Reggio Calabria ha onorato Antonino Candido – per tutti, “Nino” – con l’affetto dei suoi parenti, la vicinanza dei Vigili del fuoco d’ogni ordine e grado e con un riconoscimento sentito collegato alla sua terza passione, il calcio: sulla bara di Nino è stata poggiata la sciarpa amaranto, colore della maglia della “sua” Reggina, e all’uscita del feretro dalla Cattedrale, dopo le esequie reggine (giusto ieri s’erano celebrati ad Alessandria i funerali di Stato per le tre vittime, presente il presidente del Consiglio Conte) celebrate dall’arcivescovo metropolita monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, gli amici della Curva Nord l’hanno salutato per l’ultima volta come tante volte l’avevano accolto nel cuore dello stadio “Oreste Granillo”, urlando al cielo i cori degli ultras, rendendo l’aria densa e nerastra per i fumogeni e con un enorme striscione: «Ciao Nino! Vivrai per sempre nei nostri cuori».

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Una beffa amara, per Nino Candido, tornare nella sua Reggio Calabria in una bara avvolta nel tricolore, giusto nelle stesse ore in cui si apprende che a ghermire la vita sua e di Matteo Gastaldo e Marco Triches a Quargnento, in provincia di Alessandria, è stata una doppia esplosione in una cascina innescata dallo stesso proprietario, oberato di debiti, nel tentativo di truffare l’assicurazione.

Davanti alla famiglia straziata del vigile del fuoco reggino, monsignor Morosini ha evidenziato l’immenso dolore inferto alla madre e agli altri parenti di Candido, tanto più «assurdo» in quanto «provocato dall’odio cieco di chi si pone al di fuori delle regole del vivere umano e civile», stigmatizzando duramente «la logica della delinquenza che non si ferma dinanzi ad alcun Valore» e per la quale «non importa neanche il dolore di una giovane sposa».

Una logica delinquenziale che «non cambia se la mano assassina dice che non voleva questo massacro»: questa, ha ammonito il presule reggino, è «una giustificazione che non possiamo accettare». Ed è lo stesso spirito del consumismo moderno, si ravvisa, a istigare a un «benessere raggiunto con la frode e l’inganno e, se necessario, anche con la morte d’innocenti…». Ma quasi laicamente, l’arcivescovo di Reggio Calabria ha anche esaltato l’eroismo profano di Nino Candido: se è vero che il vigile rimasto ucciso «ha amato il suo lavoro e la divisa che indossava, ereditata dal servizio paterno» al contempo, ha fatto presente Fiorini Morosini richiamando il Vangelo, «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici». E in questo senso, ha aggiunto, tutti abbiamo «la certezza di trovarci dinanzi a una morte che sa d’eroismo».

Naturalmente, non sono mancati i tributi al vigile del fuoco morto nell’Alessandrino. E colleghi, colleghi d’ogni grado ed estrazione territoriale ovunque. «Speriamo di cuore che si faccia Giustizia – dice al cronista l’ispettore Raniero Venezia –, Nino ci ha dato tanto e comunque tutti i rischi che si corrono ogni giorno si dimenticano, nel salvare la vita a qualcuno.
Ci è capitato insieme tante volte», ricorda con tristezza mista a rabbia. E se già al mattino gli uomini della Guardia costiera avevano esternato il proprio cordoglio davanti al presidio dei Vigili del fuoco al porto di Reggio Calabria, in Cattedrale gli amici e colleghi dell’81° corso per Vigili del fuoco appunto hanno porto il proprio omaggio anche graficamente, in una cornice apposta sotto il feretro: «Il tuo nobile animo splenderà su di noi nei momenti più difficili», recita il pensiero dedicato a Nino. All’uscita dal Duomo reggino, poi, il ritmato, urlato abbraccio degli ultras della Curva Nord; dentro e fuori dalla Cattedrale, la commozione e gli insistiti applausi di migliaia di familiari, amici e semplici cittadini venuti a rendere all’intrepido vigile del fuoco il proprio ultimo saluto.

Ultimo aggiornamento: Sabato 9 Novembre 2019, 18:44
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