Massimo Carminati, dai Nar alla banda della Magliana: chi è il "re" del Mondo di mezzo

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Dai Nuclei Armati Rivoluzionari degli anni '70, passando per la Banda della Magliana fino a Mafia capitale. Massimo Carminati, 61 anni, milanese di nascita, per la procura di Roma è il «capo dell'associazione di stampo mafioso operante su Roma e sul Lazio», lui, secondo l'accusa del pool guidato da Giuseppe Pignatone e dall'aggiunto Prestipino, «sovrintende e coordina tutte le attività» del clan. Condannato a 14 anni e mezzo in Appello (erano 20 in primo grado), Carminati è attualmente detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Sassari. Nell'aula bunker di Rebibbia, in videoconferenza dal carcere di Parma, Carminati si presenta come «un vecchio fascista degli anni '70», «contento di essere così, di essere quello che sono» mentre dalle migliaia di intercettazioni - osserva la procura nel suo atto d'accusa - emerge tutto il suo 'carismà criminale.

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«Lui è il capo dei capi. Hai visto un pezzo da novanta. Tu non hai ancora bene presente chi sono i miei amici, gente che ha fatto la storia di Roma», spiega alla fidanzata Fabio Gaudenzi, condannato per usura in Mafia capitale e salito ultimamente alle cronache per il video choc realizzato dopo l'omicidio di Diabolik. Secondo le ricostruzioni dei magistrati, Carminati è uno che fa paura, anche quelli al Campidoglio «c'hanno paura di lui», dirà Buzzi intercettato, vantandosi di come una telefonata di Massimo sia riuscita a sbloccare un pagamento.

Per paura - insistono gli inquirenti - ritratterà tutto il testimone chiave dell'accusa Roberto Grilli, lo skipper da cui è partita l'inchiesta di Mafia capitale. «Se confermo duro 'na settimana (...) Se confermo gli danno anche traffico internazionale di cocaina - dice in un audio - la botta grossa è la mia. (...) Ma stiamo a scherzà. Io lo so di chi stiamo parlando, meglio di lei capitano. Stamo a parlà di Carminati». 'Er Cecatò o il 'Guerciò, per via di quell'occhio sinistro perso per un colpo sparato da un poliziotto nel 1981 al Valico del Gaggiolo, è una figura leggendaria.

A lui si ispira il 'Nerò di 'Romanzo criminalè di Giancarlo De Cataldo, sul grande schermo interpretato da Riccardo Scamarcio e da Emiliano Coltorti nella fiction, ma anche il 'Samuraì di 'Suburrà scritto da De Cataldo e Carlo Bonini nel 2012 e uscito nel 2013, un anno prima della grande retata del 2 dicembre 2014 con dettagli inediti, poi emersi pari pari nell'inchiesta. ' 'Sono puttanate«, dirà Carminati nel corso del maxiprocesso. »Non sto dicendo che sono una mammoletta ma non c'entro niente con 'Romanzo criminalè, con il 'Samuraì! La katana? Me l'ha regalata Lorenzo Cola per prendermi in giro quando è uscito il libro di Bonini 'Suburrà. Ero diventato una macchietta per questa cosa. La katana è un'arma dei samurai ma quella che hanno regalato a me non era una katana ma una cosa per sfilettare il tonno«.

È il re del 'Mondo di Mezzò, copyright dello stesso Carminati. La teoria che dà il nome all'operazione del Ros e che, per Pignatone, rappresenta «l'intercettazione più significativa». «Ci sono i vivi sopra e i morti sotto e noi in mezzo - spiega il 'Nerò al suo braccio militare Riccardo Brugia - C'è un mondo in cui tutti si incontrano, il mondo di mezzo è quello dove è anche possibile che io mi trovi a cena con un politico...». «Carminati parla col 'mondo di soprà, quello della politica e col 'mondo di sottò, quello criminale, e si mette al servizio del primo avvalendosi del secondo», dice il Procuratore di Roma. Il 'Piratà, però, in videoconferenza dal carcere di Parma, dove è detenuto al 41 bis per tutta la durata del primo grado, cerca di ridimensionare.

«Quattro chiacchiere al bar sono diventate una filosofia...». Salvo poi rivendicare l«'onestà» del mondo di sotto. «Nel mondo di sotto se fai una cosa vieni pagato, nel mondo di sopra sono tutti dei 'solà. Il 'Mondo di sottò è molto più semplice. Venivo da un mondo diverso, da un mondo dove siamo molto più onesti. Abbiamo tre comandamenti ma li rispettiamo, le anime belle di sopra ne hanno dieci ma non ne rispettano neanche uno».

Da Milano arriva a Roma, con la famiglia, da ragazzino. Fuan, Avanguardia nazionale, i Nar di Valerio Fioravanti segnano i suoi vent'anni. «A quattordici anni avevo la pistola, una 7,65, 20.000 lire la pagai... Ci andavo a scuola con la pistola..», si vanta con un giovane dell'estrema destra di oggi. Dopo gli anni di piombo, la fuga in Libano. Poi ancora Roma, con la Banda della Magliana. «Ero amico del 'Negrò (Giuseppucci, ndr), il capo, l'unico vero che c'è mai stato nella banda - dice, intercettato - Con lui un grande rapporto di amicizia e conoscevo tutti l'altri. Quando lo hanno ammazzato, sono rimasto dispiaciuto. Ho avuto, diciamo, una sorta di rapporti con tutti 'sti cialtroni».

Nella sua carriera criminale c'è posto anche per le accuse nell'omicidio di Mino Pecorelli (assolto) e per il furto al caveau della Banca di Roma del luglio 1999, operazione messa a segno all'interno del Palazzo di Giustizia di piazzale Clodio. Nell'aula bunker di Rebibbia romperà il silenzio, a quasi un anno dall'inizio del dibattimento, per attaccare L'Espresso, per quella copertina 'Ricatto alla Repubblicà - in cui si fa riferimento a documenti rubati nelle cassette della cittadella giudiziaria, con cui Carminati terrebbe in pugno avvocati e magistrati - e ammettere per la prima volta che i soldi li ha fatti grazie al colpo al caveau. «In quel caveau è vero che c'erano molti documenti ma tra un documento e l'altro ho preso anche qualche soldo. Solo i carabinieri fanno finta di non capire da dove ho ricavato la mia disponibilità economica», dirà in aula.

Colleziona arresti e condanne ma grazie a tre indulti è libero quando il 2 dicembre viene bloccato su una stradina di campagna di Sacrofano, a due passi dalla villa dove abita, Carminati scende dalla smart grigia, con le mani alzate, da uomo senza conti in sospeso con la giustizia. È uno dei «quattro re di Roma». Nel corso del maxiprocesso, lo storico difensore di Carminati Giosuè Naso, parlerà di «processetto» dal punto di vista tecnico-giuridico e «stalinista, per cui ti metto sotto indagine per quello che sei e che rappresenti e non per quello che hai fatto». La figlia Ippolita Naso conierà il termine «mafia parlata» per dire che al di là delle chiacchiere e delle vanterie, Carminati non ha niente di mafioso, secondo quanto almeno è previsto dal 416 bis.

Per Naso padre in questa inchiesta non si è trovata droga, non si sono trovate armi, non ci sono state violenze «mafiose» in intercettazioni telefoniche e ambientali durate mesi e mesi.
Insomma, per la difesa di Carminati, la Procura che ha deciso a tavolino un «teorema», secondo cui a Roma c'era la mafia«, e dove gli imputati sono stati »radiografati per quel che rappresentavano e non per quello che hanno fatto«, dove un »cazzeggio tra coatti«, »quattro chiacchiere da bar«, come la 'Teoria del Mondo di Mezzò, sono state »elette a prova« del metodo mafioso. Ma la mafia è »una cosa seria che non va banalizzata, perché se tutto è mafia poi finisce che nulla è mafia«.

Ultimo aggiornamento: Mercoledì 23 Ottobre 2019, 07:43
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