Scorsese a Roma: «Il mio Irishman, film tra vecchi amici sul tempo che passa»
di Michela Greco
Partito consegnando quarti di bue con il suo camion, Frank è entrato in contatto con Russell Bufalino (Joe Pesci) ed è diventato un sicario della malavita. È stato vicinissimo a Jimmy Hoffa (Al Pacino), testimone di un periodo - dagli anni 50 in poi - in cui la criminalità organizzata vide i boss infiltrarsi in sindacati e istituzioni e di vicende cruciali come l’assassinio di JFK. «De Niro e io volevamo fare un altro film insieme – ha esordito Scorsese – L’ultimo era stato Casinò nel 1995. Per anni abbiamo cercato l’argomento e il personaggio giusto per lavorare di nuovo insieme e un giorno Bob mi ha proposto di leggere questo libro: mentre mi descriveva Frank era emozionato, aveva tanto da dire. La gestazione di The Irishman, poi, è durata alcuni anni: volevamo parlare del tempo che passa, dell’amore, del rimorso, del percorso di una vita, della mortalità». Per farlo Scorsese si è preso tre ore e mezzo di tempo e 160 milioni di dollari, garantiti da Netflix insieme alla totale libertà creativa: «Per vedere un film sul grande schermo, in tv, su un Ipad o dovunque vogliate, quel film deve poter essere fatto», ha detto il regista, alludendo alle polemiche che oppongono le piattaforme streaming alla visione in sala. «Negli ultimi anni ho lavorato con finanziamenti autonomi – ha aggiunto – Netflix mi ha offerto i fondi e il tempo necessari per fare questo film, chiedendo che venisse visto in streaming anche quando sarebbe stato ancora al cinema: è un buon accordo. Vorrei però che le sale continuassero a sostenere i film, mentre oggi cercano soprattutto film-parchi di divertimento tratti dai fumetti. Si possono fare, certo, ma i giovani non dovrebbero credere che quello è cinema». Il tempo è stato un fattore fondamentale non solo all’interno della narrazione di The Irishman, che mostra i protagonisti nell’arco di 50 anni, ma anche a livello produttivo, visto che gli attori sono stati ringiovaniti e invecchiati digitalmente per reggere lo scorrere degli anni sul loro volto cinematografico: «L’unica alternativa sarebbe stata affidare metà racconto alla recitazione di attori più giovani – ha affermato Scorsese - ma io volevo fare questo film con i miei amici».
Riprendendo il filo del ritratto del mondo criminale tratteggiato in Mean Streets, Quei bravi ragazzi e Casinò, Scorsese ci aggiunge qui i colori del declino e della malinconia, del senso di colpa e di una amara consapevolezza: tutto scorre e, alla fine, tutto viene dimenticato e perde di importanza.
Ultimo aggiornamento: Martedì 22 Ottobre 2019, 09:30
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