Marcello De Vito, la Cassazione: «Le accuse di corruzione contro di lui sono frutto solo di interpretazioni»

Marcello De Vito, la Cassazione: «Le accuse di corruzione contro di lui sono frutto solo di interpretazioni»
Le accuse di corruzione per l'ex presidente dell'assemblea capitolina Marcello De Vito si reggono su quanto dichiarato dall'imprenditore Luca Parnasi ai giudici capitolini che hanno però svolto un'operazione «interpretativa» dal momento che non sono state «esplicitate» e neanche possono «desumersi dagli ulteriori dati indiziari».

È quanto si legge in un'agenzia dell'Adn Kronos che riporta le motivazioni della sentenza della Cassazione che lo scorso 12 luglio ha annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma nei confronti di De Vito, arrestato nel marzo scorso e ai domiciliari da luglio nell'ambito di un filone dell'inchiesta sul nuovo stadio della Roma, e degli altri soggetti coinvolti tra cui il suo 'sociò, l'avvocato Camillo Mezzacapo.

«Il valore confessorio dell'esistenza di un patto corruttivo - scrivono i giudici della Suprema Corte - che a tali dichiarazioni è stato attribuito dai giudici capitolini, non rispecchia l'obiettivo tenore delle stesse, potendo pertanto riconnettersi solo ad una operazione interpretativa, che assegni loro una portata per così dire 'addomesticatà che non è stata tuttavia esplicitata, né può logicamente desumersi dagli ulteriori dati indiziari di cui sopra».

 «L'atto contrario ai doveri d'ufficio -  si legge nella sentenza  - è stato ravvisato, in relazione alla vicenda riguardante il progetto di realizzazione dello stadio della Roma Calcio, nell'aver De Vito presieduto l'assemblea del 14 giugno 2017, esprimendo in quella sede il proprio voto favorevole all'approvazione del progetto medesimo ed alle connesse varianti del Piano regolatore (avvenuta con 28 voti favorevoli e 9 contrari): l'assunto - scrivono i giudici della Suprema Corte - risulta gravemente insufficiente sul piano della motivazione (...). Esso inoltre tralascia di considerare, nonostante l'espressa sollecitazione delle difese, confortata dalla documentazione prodotta in sede di udienza camerale, che la ricordata seduta del 14 giugno 2017 - presieduta da De Vito coerentemente alla veste istituzionale sua propria - interviene all'esito di un già apprezzabile iter procedurale, scandito, dopo la presentazione del progetto oltre tre anni prima, sotto la sindacatura Marino, ed una prima dichiarazione di pubblico interesse dell'opera da parte della Giunta del tempo, da una convergente dichiarazione pubblica in tal senso della sindaca Raggi, pur con l'indicazione di una sensibile diminuzione della cubatura commerciale del progetto, e della successiva adozione di una collimante delibera di Giunta, cui avevano fatto seguito i pareri positivi delle Commissioni permanenti e del IX Municipio, interessato dall'esecuzione del progetto, prima della seduta di cui trattasi.

«Il tutto in assenza di qualsivoglia indice probatorio concretamente allegato - sottolineano i giudici della Cassazione - di un inopinato mutamento di linea da parte della maggioranza consiliare e di un'attività da parte di De Vito, finalizzata a scongiurare siffatta (allo stato del tutto congetturale) ipotesi, ovvero ancora di modificare in senso più confacente agli interessi del privato il già palesato favore della maggioranza comunale, essendo rimasti peraltro inesplorati eventuali profili di contrarietà all'interesse pubblico del complessivo progetto». 

Ultimo aggiornamento: Venerdì 23 Agosto 2019, 19:53
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